“I mandarini di Ciaculli” di Roberto Tagliavia: a tratti il racconto assume l’aspetto di un grande atto di dolore, un agrodolce mea culpa riguardante l’impossibilità di operare, in quegli anni, scelte radicali che si opponessero a quelle fatte invece dalla borghesia mafiosa
di Roberto Greco
L’imponente lavoro di Roberto Tagliavia (nella foto) riesce a essere molto di più di quanto ci si aspettava. Certamente si tratta di un volume impegnativo per il lettore ma lo è stato anche per l’autore che, con la sua scrittura diretta e sincera, è riuscito a usare una penna leggera nonostante la complessità di alcuni passaggi narrativi.
Non una semplice saga familiare ma piuttosto una lunga e sincera autobiografia grazie alla quale il nastro della storia si srotola dal secondo dopoguerra a oggi. Un nastro spesso colorato di rosso sangue che percorre la lunga storia della Sicilia, dei suoi condizionamenti, dei suoi padroni ma anche delle sue indulgenze e del suo permissivismo, spesso dovuti a interessi o necessità personali.
I Tagliavia, famiglia portatrice di un’illustre tradizione marittima, sono stati i proprietari del Fondo Favarella a Ciaculli e i mandarini cui si riferisce il titolo del libro sono, appunto, i mandarini tardivi di Ciaculli, chiamati anche marzuddi perché, anziché nel classico periodo, arrivano a maturazione nel mese di Marzo.
Al contrario del titolo della recensione, proprio quei mandarini, nonostante un forte aroma, non sono agrodolci ma possiedono un elevato contenuto zuccherino, ma agrodolce è la storia del contesto perché proprio quel fondo Favarella è rimasto per lunghi anni nelle rapaci e prepotenti mani del boss mafioso Michele Greco, il “papa”, ed è ritornato, dopo lunghe e contorte traversie, solo da poco in quelle della famiglia Tagliavia.
Ma il racconto della saga della famiglia va ben oltre la semplice stesura cronologica degli eventi perché Roberto Tagliavia, l’autore, è stato protagonista, diretto o indiretto, non solo di quanto riguardante la sua famiglia ma anche di quell’aria che si respirava, e per certi versi si respira ancora oggi, in Sicilia e a Palermo.
A tratti il racconto assume l’aspetto di un grande atto di dolore, un agrodolce mea culpa riguardante l’impossibilità di operare, in quegli anni, scelte radicali che si opponessero a quelle operate invece dalla borghesia mafiosa che ha addomesticato una classe borghese, che meritava ben altro, e narcotizzato o ancora ucciso chiunque cercasse di cambiare le cose.
Nelle sfumature del racconto, ma troppo penetrati nel contesto perché siano messi in particolare evidenza, quelle stragi di mafia che hanno scatenato, e lo fanno ancora oggi, una sensazione di altissima empatia nella popolazione, ma nello scorrere narrativo non vengono mai usate in maniera strumentale anzi, la loro narrazione leggera rappresenta, forse, un’ulteriore sfumatura del reale rapporto tra quelle stragi, la città e la sua classe borghese, impotente dinanzi agli eventi, vittima del contesto mafioso ma parca di prese di posizioni necessarie al proprio riscatto.
Senza dubbio si tratta di un libro da leggere anche per meglio metabolizzare il crudo ritratto di una società, troppo spesso negato per celare il proprio senso di colpa.
“I mandarini di Ciaculli” di Roberto Tagliavia, Zolfo Editore, 2022, pagine 816
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