di Olena Ponomareva (*)
L’originalità di Abbecedario Ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl sta nella selezione, nell’organizzazione e nella presentazione dei contenuti, ovvero dei lemmi, come li definisce lo stesso autore, Massimiliano Di Pasquale. Sono le storie che narrano la Storia ucraina basata sugli eventi, raccontata attraverso i luoghi e con l’accento particolare sui personaggi famosi – i grandi del passato e i protagonisti dei nostri tempi.
L’Abbecedario II racchiude al suo interno una selezione di oltre 10 personaggi emblematici della storia ucraina, una selezione, a dire il vero, affascinante ed illuminante. Cercheremo, quindi, di svelare qualcosa sui personaggi descritti nel libro – tra uomini politici e personaggi della cultura – senza togliere la suspense e il piacere della lettura.
Volodymyr Zelenskyi, attuale presidente dell’Ucraina
Nonostante che nel sottotitolo venga indicato che il periodo va dal Medioevo alla tragedia di Čornobyl, Di Pasquale tratta anche gli argomenti di estrema attualità. Ad esempio, nell’Appendice (sarà stato uno stratagemma dell’autore?) troviamo un’articolata analisi della figura dell’attuale presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyi, un comico che senza alcuna esperienza politica e senza alcun programma elettorale nel 2019 ha vinto le elezioni presidenziali con il 73% dei voti.
Il trionfo del populismo? Il sonno della ragione? Il nuovo mondo stile reality show? Ma cosa succede veramente quando il confine tra politica reale e la fiction politica scompare? A quanto pare, l’Ucraina di oggi rappresenta un vero e proprio laboratorio di sperimentazione dove vengono applicate delle tecnologie e strategie varie – avvolgenti e progressive, oppiacee – dalla guerra ibrida alle manipolazioni mediatiche e alla fiction politica. Nel libro vengono riportati alcuni risultati, piuttosto preoccupanti, delle indagini svolte da ricercatori e giornalisti investigativi occidentali di cui in Occidente non se ne sta ancora parlando approfonditamente (pp. 176-178).
Bandera
Procedendo, invece, nell’ordine alfabetico, ci imbattiamo subito nel lemma Bandera. Tracciare un ritratto politico e umano del personaggio più controverso della storia moderna ucraina sembra un’impresa piuttosto ardua per un narratore occidentale, in quanto Stepan Bandera è sempre stato adorato ed esaltato, da una parte, e odiato, persino demonizzato, dall’altra. Ma, soprattutto, strumentalizzato. A partire dai tempi delle proteste di Maidan nel 2013-2014 tutti coloro che sono favorevoli a un’integrazione dell’Ucraina nelle strutture europee ed euroatlantiche (secondo gli ultimi sondaggi, oltre il 61 % degli Ucraini appoggia l’integrazione nell’Ue e il 52,8 % nella Nato – quindi, decine di milioni di persone) vengono bollati da parte dei media russi come ‘fascisti’ e ‘banderivtsi’. Questa bolla di scomunica – racchiusa nella dicitura spregiativa ‘fascisti e banderivtsi’ – è anche uno dei capisaldi della disinformazione russa in Europa occidentale acriticamente diffusa sui mezzi di informazione nei paesi cosiddetti liberi e democratici.
Ma chi era realmente Stepan Bandera, oltre a essere un mito, un simbolo dell’espressione della coscienza nazionale ucraina? Quale è stato il suo effettivo contributo alla lotta di liberazione nazionale? Questa sarà la ricostruzione della vicenda biografica e politica di Stepan Bandera collocata all’interno del suo contesto storico che troviamo nell’Abbecedario, nel suo capitolo più lungo e articolato.
Il principe rosso
Un altro lemma intitolato Il principe rosso (dal famoso libro dello storico americano Timothy Snyder) racconta la straordinaria vicenda dell’arciduca Guglielmo d’Asburgo nato a Istria nel 1895 e morto a Kyiv nel 1948. Questa volta il termine ‘rosso’ si riferisce non al simbolo della sinistra rivoluzionaria, ma al nome storico della Galizia orientale che a partire dal Medioevo e fino alla prima della Prima guerra mondiale veniva denominata Ruthenia Rubra, Rutenia Rossa. Mentre Guglielmo d’Asburgo si faceva chiamare anche Vasyl’ Vyšyvanyj, un aggettivo derivante dal sostantivo ‘vyšyvanka’, camicia ricamata ucraina, che l’Asburgo era solito portare sotto l’uniforme militare: così appare su numerose fotografie d’epoca.
In effetti Guglielmo aveva un sogno politico, aspirava a diventare sovrano di un’Ucraina legata alla Corona asburgica. Esisteva persino questo progetto politico nella storia europea ai tempi della prima guerra mondiale: un Asburgo ucraino potrebbe costituire un vantaggio nella complessa politica dell’impero Austro-Ungarico verso le varie nazionalità che lo componevano. Il progetto naufragò definitivamente nel 1918 a motivo di un’opposizione serrata di Berlino, ma anche in seguito al crollo dello stesso Impero austro-ungarico. Anche la sorte di Guglielmo d’Asburgo (alias Vasyl’ Vyšyvanyj) fu segnata…
Bulgakov e l’Ucraina
Arriviamo a Michajil Bulgakov, un importante scrittore russo, l’autore del celebre romanzo “Il Maestro e Margherita”. Era nativo di Kyiv, ma incapace di pensarsi staccato dalla Russia. Viveva all’epoca del dissolvimento dei grandi imperi – quello russo nel 1917 e quello asburgico nel 1918 – quando l’Ucraina, come altri paesi d’Europa Centrale, divenne Stato indipendente, ma solo per un breve periodo compreso tra il 1917 e 1920. Le testimonianze di Bulgakov (che fino al 1917 visse a Kyiv, per poi trasferirsi a Mosca dove morì nel 1940 a soli 48 anni) hanno un importante valore aggiunto e sono state fonti di informazione per molti storici.
Ma anche l’ucrainofobia dell’autore del famoso romanzo “Il Maestro e Margherita” è davvero esemplare – scaturita probabilmente da una mentalità monarchica, anzi, zarista che gli aveva indicato una falsa via d’uscita. Come il diavolo Korovjev, nel suo romanzo, spinge un funzionario del regime, convinto che il demonio non esista, a correre incontro alla propria rovina, fino a inciampare nei binari del tram e a farsi tagliare la testa.
Mentre altri grandi scrittori di origine ucraina come Mykola (Nikolaj) Gogol, per esempio, ma anche Anton Čechov, non solo non rinnegavano la loro ucrainicità, ma la consideravano come componente essenziale della propria identità, Michajil Bulgakov aveva con l’Ucraina e con la sua capitale un rapporto molto controverso, che Massimiliano Di Pasquale cerca di comprendere e di interpretare nel suo libro.
Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco, anche lui originario di Kyiv, anche lui scrittore. Nato nel 1911 da padre ucraino e madre italiana, all’età di 6 mesi viene trasferito in Italia dove ha vissuto per tutta la vita. È uno scrittore italiano a tutti gli effetti, ancora oggi è considerato il padre del giallo italiano. In particolare, alla sua memoria è dedicato il più importante premio italiano per la letteratura poliziesca e noir: il premio Scerbanenco. Nel suo cognome aveva sostituito la k del suo cognome con la c, evidentemente per sembrare più italiano, ma alla fine della vita (muore nel 1969) Giorgio Volodymyr Scerbanenco comincia a fare i conti con le proprie radici ucraine.
Taras Ševčenko
Taras Ševčenko, con la k, come, tra l’altro, anche nel cognome di Andrij Ševčenko (Шевченко, è tra i cognomi ucraini più diffusi, deriva da шевчик, diminutivo di швець, ‘calzolaio’, mentre l’aggiunta del suffisso -енко esprime un rapporto di discendenza). Nell’immaginario collettivo ucraino il cognome Шевченко viene indubbiamente associato al sommo poeta dell’Ottocento.
È curioso che Andrij si fece più volte fotografare (per scopi pubblicitari, indubbiamente) con il “Kobzar” di Taras Ševčenko, la più importante raccolta delle poesie di questo gigante della letteratura ucraina dell’Ottocento. Nel 2014 per il duecentesimo anniversario della nascita del poeta in Italia è uscito un libro di Giovanna Brogi e Oxana Pachlovska intitolato Taras Ševčenko. Dalle carceri zariste al Pantheon ucraino, un’opera meritevole d’attenzione, menzionata e citata da Massimiliano Di Pasquale nell’Abbecedario ucraino II.
Ivan Franko
Tornando ai personaggi del volume, possiamo apprendere qualcosa su un altro grande scrittore ucraino Ivan Franko. Per esempio, che Franko fu il primo autore ucraino a guadagnarsi da vivere con la scrittura. Ma fu anche un vero e consapevole pensatore politico che appartiene alla storia spirituale non soltanto ucraina, ma anche europea. Ad esempio, Di Pasquale definisce Franko come ‘un antesignano del socialismo “dal volto umano”’ (p. 96), una descrizione che assume un significato simbolico nell’anno del centenario della nascita di Alexander Dubček, il protagonista della primavera di Praga nel 1968 noto proprio per il tentativo di realizzare il socialismo “dal volto umano” nel suo paese.
Ma di che cosa si trattava esattamente? Sicuramente questa forma di socialismo era fondata “sulla crescita etica e culturale delle masse, sulla diffusione dell’istruzione, della scienza, del senso critico, della libertà individuale e nazionale, e non sul dogmatismo partitico, non sul despotismo.” Queste, invece, sono le idee di Ivan Franko.
Ivan Mazepa e la fondazione politica dell’Ucraina
Parlando dei personaggi emblematici della storia ucraina non si potrebbe fare a meno di Ivan Mazepa, il Bismark ucraino, come l’ha definito Yevhen Malaniuk, un celebre intellettuale della diaspora ucraina. Siamo però nel Seicento-inizio del Settecento: Mazepa morì nel 1709, lo stesso anno della sconfitta nella battaglia di Poltava che cambiò il corso della storia ucraina. Era stato davvero un grande capo politico e militare, prima di tutto perché aveva un programma politico innovativo per il suo tempo: un Etmanato pan-ucraino (l’Etmanato era l’entità statale dei cosacchi ucraini) che riunisse tutti i territori ucraini della riva destra e della riva sinistra del Dnipro in un’unica entità statale modellata sugli stati europei.
In effetti, Ivan Mazepa era molto conosciuto in Europa, anche per le incredibili e travagliate vicende amorose. La sua fu un’immagine molto romantica che ispirò nei secoli diversi scrittori, artisti compositori. Era stato cantato da Voltaire, Byron, Victor Hugo e persino da Aleksandr Puškin. Eugène Delacroix lo dipinse nei suoi quadri. Mazepa aveva ispirato Franz List in un poema sinfonico, e Piotr Čajkovskij gli aveva dedicato un’opera lirica… Eppure nell’Impero russo ogni anno fino al crollo nel 1917 tutte le chiese scagliavano l’anatema contro il traditore Mazepa. All’epoca venivano bollati come mazepyntsi tutti coloro (e per gli stessi identici motivi) che oggi sono definiti (da Mosca) come banderivtsi. Questo è il messaggio fondamentale che Di Pasquale fa passare attraverso il suo testo: nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri venivano e continuano a essere scomunicati, screditati e diffamati tutti coloro si oppongono all’imperialismo russo e lottano per l’indipendenza dell’Ucraina.
I dissidenti ucraini negli anni Sessanta
Così è stato anche per i dissidenti ucraini nell’Unione sovietica negli anni Sessanta ai quali è dedicato un intero capitolo nel libro. Si trattava di una nuova generazione di intellighenzia nazionale, formata soprattutto da scrittori e pittori, che affiancava alla creatività un’intensa attività pubblica, per dimostrare una forte capacità di resistenza morale al sistema totalitario. Eppure nell’Abbecedario ucraino II leggiamo che gli Šistdesiatnyky “erano tutti socialisti e marxisti” (p. 93).
Va comunque specificato che Di Pasquale cita un’intervista realizzata con Simone Attilio Bellezza, autore del saggio The Shore of Expectations: A Cultural Study of the Shistdesiatnyky, le cui interpretazioni però non sempre si possono condividere. È importante sottolineare che i Šistdesiatnyky aderivano innanzitutto ai principi della libertà di espressione, del pluralismo culturale e della supremazia dei valori universali rispetto ai concetti di classe e ai precetti ideologici. Si impegnavano per promuovere l’uso della lingua ucraina e la rinascita della cultura nazionale, difendendola dalla politica di russificazione; organizzavano serate informali in memoria degli scrittori repressi dal regime staliniano con letture dei loro testi, mettevano in scena le opere teatrali proibite, scrivevano petizioni a sostegno della lingua ucraina.
Ivan Dziuba
È in questo contesto che nasce il saggio di Ivan Dziuba, un critico letterario, “L’internazionalismo o la russificazione?” menzionato sia da Simone Bellezza che da Massimiliano Di Pasquale. Si tratta di un’acuta analisi della politica nazionale e culturale attuata dalle autorità sovietiche in Ucraina, in cui Dziuba sosteneva l’idea che il Partito Comunista, a partire dei tempi di Stalin, fosse “scivolato” su posizioni di sciovinismo russo. Le sue argomentazioni dello studioso si basavano sui testi delle opere di Lenin e sui documenti del partito comunista degli anni venti. Probabilmente, proprio per questo motivo gli studiosi occidentali tendono a definire, quasi a “inscatolare” Dziuba e altri Šistdesiatnyky come marxisti.
Ma nell’Unione sovietica, come in qualsiasi Stato totalitario, la politica pubblica non esisteva! L’appellarsi alla costituzione sovietica, alla documentazione del partito alla ricerca della verità e della libertà per l’Ucraina – la secessione legale delle repubbliche federate era teoricamente garantita dalla costituzione dell’Urss – era uno stratagemma ampiamente usato dai Šistdesiatnyky. A cos’altro potevano appellarsi gli intellettuali nel contesto dello Stato totalitario, dove, inoltre, tutto era fittizio – la costituzione, la politica, il potere del popolo, gli organi del potere? L’unica forma di lotta politica aperta nei paesi totalitari dell’Est Europa erano le autoimmolazioni.
Vasyl Makuch e gli autoimmolati in Ucraina
Il 5 novembre del 1968 nel centro di Kyiv si autoimmolò Vasyl Makuch precedendo il molto più conosciuto studente cecoslovacco Jan Palach di oltre due mesi. Il primo però è stato il polacco Ryszard Siwiec che si diede fuoco il 12 settembre a Varsavia protestando contro l’invasione della Cecoslovacchia e contro le mire imperialistiche dell’Unione sovietica. Il numero degli autoimmolati che protestavano contro il regime comunista nello spazio del Blocco sovietico tra il 1968 e il 1989 si avvicina complessivamente a settanta… Probabilmente soltanto loro erano gli “uomini effettivamente impegnati in politica”. E non sempre i concetti politici occidentali possono essere adoperati nell’interpretazione di categorie e comportamenti nei paesi totalitari.
Eppure, i ragionamenti di un narratore occidentale sono comprensibili, ed è naturale che possa commettere qualche imprecisione nelle sue interpretazioni. Specialmente quando si tratta di una realtà nazionale così complessa, intricata e problematica come quella ucraina. Ma talvolta anche queste imprecisioni di un osservatore esterno – attento e consapevole, per dirla con Juri Lotman, possono diventare fonte di informazioni originali e preziose.
(*) Università “La Sapienza”, Roma