di Giovanni Rosciglione
Il 12 gennaio scorso la curia di Palermo ha consegnato le chiavi della chiesa dell’Oratorio del Sabato (foto in copertina) alla neonata Comunità Ebraica di Palermo e, nel pomeriggio, nella splendida aula Damiani Almeyda dell’archivio Comunale, il vicesindaco Emilio Arcuri ha annunciato che i lavori di adattamento a Sinagoga dell’Oratorio saranno finanziati dal Comune e conclusi velocemente. (Foto nel testo).
Bene! Rinasce così a Palermo dopo 525 anni un’aggregazione, spero non solo religiosa, di ebrei che non vivono in Israele, ma a quella terra e a quello Stato democratico sono anche culturalmente legati.
Ci dice Pasquale Hamel che il 18 settembre del 1942 i cattolicissimi Sovrani Spagnoli padroni della Sicilia “ingiunsero ai numerosissimi e laboriosi giudei siciliani di lasciare l’isola e abbandonare i loro beni, pena la morte”. E così fu!
Questo, più che altro, per fare capire che, verso quel popolo, non di regalo si sia trattato, ma piuttosto di un primo rimborso appena simbolico da parte di una curia che, a Palermo e a Monreale, si è sempre contraddistinta per avidità spregiudicata nel nebuloso mondo dei beni immobili.
Giovanna D’Amico, ci dice Amelia Crisantino, ha redatto una puntigliosa scheda analitica dei siciliani avviati nei campi di concentramento, nella quale si scopre che tra i 761 deportati, solo due vengono classificati come “Ebrei”.
Ma l’interesse del vostro Politofilo (foto) nei confronti di questo avvenimento, non si limita all’apprezzamento per questo inizio e non è giustificato dal fatto che solo da un decennio ho scoperto di avere lontane ascendenze giudaiche, ma va ben oltre e vuole coglierne l’occasione per approfondire uno dei punti nodali della politica mondiale e delle motivazioni fondamentali del ricordo eterno della Shoah.
Per questo spero che la nascita della Sinagoga a Palermo e l’aggregazione religiosa della comunità ebraica a Palermo possa partire da questo importante punto (come la storia ci insegna) per andare oltre: diventare una comunità civile e culturale in grado di partecipare e testimoniare attivamente in questa mia città, politicamente anemica, al dibattito sul ruolo mondiale che ha lo Stato Democratico di Israele nell’equilibrio fragile del fronte mediorientale.
Due punti mi premono:
Uno. Penso sia noto a tutti che una certa opinione pubblica, particolarmente attiva nella sinistra di tutto il mondo e nell’Intellighenzia conservatrice radicale, continua più o meno apertamente a non riconoscere la legittimità storica della nascita stessa di Israele. Contesta l’idea che il compenso che gli alleati intesero dare ad un popolo sterminato dai nazisti, consentendogli di fondare uno stato nella regione della Palestina, sia consistito in una rapina ai danni del popolo arabo di quella terra.
Quante volte non abbiamo sentito dire, anche da persone colte e democratiche “Si, va bene, ma alla fine gli israeliani stanno facendo agli arabi quello che i nazisti fecero agli ebrei: gli hanno tolto la terra e li hanno colonizzati.” Ritornello inesauribile che – sono sicuro – sarà ripetuto anche nel Giorno della Memoria” da qualche ragazzotto con Kefiah al collo. Per non parlare dei vergognosi insulti che vengono riservate alla Brigata Jewish dai partigiani da salotto.
Voglio dirlo chiaro: il Governo Israeliano deve chiuderla con gli insediamenti, combattere l’estremismo fondamentalista sionista e avere il coraggio (la forza ce l’ha!) di aprire un vero negoziato con La Palestina.
Ma, vorrei ricordare anche che dal alcune migliaia di anni e sino ad oggi, non esiste un solo Stato Nazionale che non sia nato da guerre di conquiste territoriali (spesso micidiali), da annessioni più o meno giustificate. Sempre, sino ad oggi ripeto.
La diaspora ebraica nasce in Palestina dove è nata la gente e la cultura di quel popolo. La pace nasce con le trattative e la democrazia. Israele ha come identità la democrazia.
Due. L’idea che il Nazismo (cioè la violenza dittatoriale come governo dell’umanità) è finito. Non può più rinascere. E, quindi, possiamo allentare la pressione del ricordo, possiamo evitare di ritornare sulle scene dell’orrore, possiamo tranquillamente dare dei fascisti agli ebrei, quando si comportano da fascisti.
E’ così? Certo che no. E non tanto perché i neo nazifascisti palesemente dichiarati sono pochi ed isolati, non tanto perché ci sentiamo vaccinati contro quella che qualcuno pensa che il nazismo sia una “malattia mentale”, dalla quale il mondo si sia vaccinato.
Ma perché basta guardarci intorno per capire che virus simili a quello girano sempre più frequenti nel mondo e sono sempre più aggressivi, perché la democrazia in se stessa è debole proprio perché assicura le libertà di tutti (parola, stampa, religione, critica…). Gli appelli diretti al popolo nei tempi di crisi in specie sono campane a morto della democrazia.
Milioni di uomini e donne possono essere governati solo da una vera ed efficiente democrazia, altrimenti la invocata libertà popolare si allarga tanto da scoppiare e mettere il potere in mano di uno o di pochi.
Crisi della politica e dei partiti tradizionali, crescita del populismo, della retorica nazionalista e protezionista, la voglia di muri, la falsificazione della verità agevolata dalle tecnologie mediatiche sono le ferite della democrazia, in cui più facilmente quel virus può entrare ed attecchire. Oggi come ieri. Occorre dunque che sia ogni giorno, quello della memoria.
Ecco, spero proprio che a Palermo quello del 12 gennaio sia solo l’inizio della presenza e del protagonismo di una comunità che appartiene alla grande cultura Europea e mondiale (scrittori, filosofi, scienziati musicisti ebrei sono tanti e tanto famosi che non occorra citarne nessuno).
Una comunità, come quella che è oggi guidata dalla Signora Evelyne Aouate, può aiutare (e ce ne è tanto bisogno) anche la mia città a migliorare la qualità del dibattito e lo spessore della cultura.