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di Gianluca Navarrini
Zingaretti, lo scorso 10 maggio, nell’inaugurare un parco di periferia, ha annunciato la candidatura di Roberto Gualtieri a sindaco di Roma, dopo che le agenzie stampa avevano registrato la dichiarazione di Letta con la quale, nell’indicare Gualtieri, si rammaricava dell’indisponibilità dello stesso Zingaretti a candidarsi.
Letta avrebbe di gran lunga preferito Zingaretti a Gualtieri, perché Zingaretti è un amministratore navigato, alla guida della regione Lazio e già presidente della provincia di Roma. Gualtieri, invece, appare fuori posto. E anche come Ministro dell’economia si era mostrato inadatto, per temperamento, a gestire meccanismi amministrativi complessi. Il timido e riflessivo Gualtieri è stato un buon parlamentare europeo. Ma non tutti possono fare tutto.
Gualtieri e la debolezza di Letta
Mi preme, però, tornare all’annuncio in piazza fatto non da Letta, ma da Zingaretti. Il quale ha prima letto una dichiarazione preconfezionata e poi ha eluso le domande dei presenti rifugiandosi dietro un «non sono mica io il candidato sindaco». La circostanza, a mio avviso, dimostra ancora una volta la debolezza di Letta, scavalcato dai potentati locali del PD. Il segretario voleva per Roma un candidato forte per battere la Raggi, contro la quale il PD fa opposizione da cinque anni.
Ma, a quanto pare, i capintesta del PD capitolino intendono onorare la cambiale che Zingaretti ha firmato con il Movimento allorché era segretario: le condizioni dell’alleanza tra i due partiti prevedono che i Cinque Stelle entrino nell’amministrazione del Lazio e mantengano il controllo di Roma.
E Gualtieri è l’uomo giusto al posto giusto: un profilo prestigioso, ma poco attraente; un uomo di cultura, ma senza carattere; un noto esponente dell’Istituto Gramsci, ignoto nelle periferie romane, dove si gioca la vera partita.
L’ho incontrato una sola volta – per pochi minuti – durante le elezioni suppletive della Camera (che ha vinto nel centro storico di Roma). In quella occasione mi ha trasmesso una sensazione di ingessamento, di imbarazzo, di incapacità ad entrare immediatamente in sintonia con le persone. Sembrava impaurito da tutta la vita che aveva intorno: il suo cicerone – uno spigliato e abile amministratore locale del PD – lo conduceva quasi per mano e lui lo seguiva con lo sguardo vuoto e gli occhi persi nel nulla.
Un perfetto perdente di successo
Anche nelle sue apparizioni televisive da Ministro dell’economia, Gualtieri è sembrato spesso a disagio. Liceo classico, laurea in lettere, dottorato di ricerca e cattedra in storia contemporanea. E poi le silenziose stanze delle biblioteche e dell’Istituto Gramsci, il linguaggio felpato degli ambienti accademici, l’aula cosmopolita dell’Europarlamento.
Con una simile formazione, Gualtieri si era trovato catapultato nei temi della politica economica e di bilancio. Roba da economisti o, al più, da giuristi. Ma lui, nonostante la ritrosia, affrontava a viso aperto le telecamere e gli intervistatori. Senza convinzione, ma con stoica rassegnazione. La sua esperienza ministeriale si è chiusa, con la caduta del Governo Conte II, proprio per le insufficienze del “suo” PNRR.
Sono mie impressioni soggettive, chiaramente. Ma Gualtieri a me sembra il perfetto perdente di successo. L’uomo giusto al posto giusto, dicevo. Perché il PD – dopo anni di opposizione – non poteva dire espressamente ai suoi elettori di votare per Virginia Raggi. Non poteva, per non perdere ulteriore consenso. Perché un’opposizione che finisce per sostenere elettoralmente il proprio avversario appare priva di serietà e di credibilità: non un partito di lotta e neppure di governo, ma solo un partito della convenienza.
Gualtieri per votare la Raggi al secondo turno
Presentando Gualtieri, invece, il PD laziale dell’astuto stratega Zingaretti potrà sostenere di aver partecipato alla corsa per Roma con un candidato eccellente, ancorché perdente. E se Gualtieri – come è prevedibile – non riuscirà neppure ad arrivare al ballottaggio, allora il PD potrà sentirsi libero di consigliare ai propri elettori di votare per la Raggi, perché così si potrà impedire la vittoria dell’altro sfidante (chiunque esso sia), che raccoglierà anche i voti delle destre, dipinte come il demonio.
Così – se anche la Raggi non venisse confermata sindaco – il PD potrà salvare l’integrità della sua alleanza strutturale con i Cinque Stelle. A spese della Capitale.
In copertina Roberto Gualtieri. Foto tratta dalla sua pagina Facebook.