
Circolarità preconcetta nei talk show? Purtroppo accade spesso
di Giovanni Burgio
C’era una volta il giornalista televisivo. Era una persona che con tono serio faceva una domanda all’uomo politico, e ne aspettava pazientemente la risposta. Poi ne faceva un’altra, e il politico rispondeva ancora. Il giornalista era in sostanza un intervistatore che ascoltava in silenzio.

Il personaggio invitato a parlare, d’altro canto, poteva esporre tranquillamente il proprio pensiero e il programma del partito che rappresentava.
In questo modo il telespettatore, da casa, avendo potuto seguire passo passo quello che si era detto, si faceva la sua opinione.
Il modo pacato, documentato, intelligente, di fare informazione politica è andato cambiando poco a poco sin dalla metà degli anni ’80.
Prima il “Maurizio Costanzo Show”, poi negli anni ’90 “Samarcanda” di Michele Santoro, e sicuramente “Ballarò” condotto da Giovanni Floris all’inizio del 2000, hanno prodotto una rivoluzione dei programmi televisivi. E soprattutto hanno modificato il ruolo del giornalista-intervistatore.
L’ossessione d’interrompere e intervenire ha trasformato il giornalista televisivo in showman
Quella sobria figura che parlava solo per fare domande, comincia a intervenire sempre di più, fino a interrompere il politico che sta facendo i suoi ragionamenti.

E non solo spezza la discussione continuamente, ma lascia intendere qual è il proprio pensiero. Avviene così che “si schiera”, diventando “di parte”. Il programma televisivo si trasforma così in un vero e proprio contradittorio tra politico e giornalista.
Naturale evoluzione di questa diversa maniera di assolvere la funzione d’intervistatore, sono i numerosi casi di giornalisti che diventano uomini politici a tutti gli effetti. Infatti, alcuni tra i più importanti conduttori televisivi vengono eletti deputati, senatori, europarlamentari.
Finisce quindi l’antica trasmissione d’informazione politica e viene meno la principale funzione del giornalista-cronista: raccontare i fatti e raccogliere le testimonianze nella maniera più obiettiva possibile.
La degenerazione del talk show: dalla politica all’intrattenimento di dubbio gusto
Negli anni, un’ulteriore degenerazione si è prodotta introducendo, durante il colloquio con il politico, elementi spettacolari (vita privata, interventi di gente comune, canzoni, show del comico di turno) che poco hanno a che fare con la politica, l’economia, i problemi sociali. E non a caso questi programmi televisivi sono definiti “Talk show”.

Per non parlare, poi, di quelle trasmissioni che, vedendo partecipare non un solo uomo politico, ma esponenti di più partiti assieme, danno luogo a sovrapposizioni di voci, battibecchi, lanci di offese, risse.
Riuscire così a capire il discorso delle persone che intervengono è difficilissimo, con la conseguenza che il telespettatore si confonde, si arrabbia, ansima.
E quindi, non ottenendo informazioni, non può formarsi una propria opinione su un determinato fatto o problema.
Il vizio sempre più frequente e ossessivo d’interrompere continuamente l’uomo politico da intervistare ha raggiunto negli ultimi tempi esiti paradossali.
Ricorrente è ormai il caso in cui la persona invitata in trasmissione supplica umilmente “Posso parlare? Posso rispondere?”.
Condivido l’analisi.