di Vincenzo Pino
Era andata bene al Pd alle elezioni Europee. L’articolazione ed il valore delle proposte unitamente a quello delle candidature avevano premiato in qualche modo questo partito con un buon 22,7%.
Si votava con le preferenze e con la presentazione di capilista come Calenda, Pisapia, Bonafè, Roberti, Chinnici e Bartolo unitamente al resto dei candidati.
Il ventaglio di attrattività del Pd era abbastanza ampio e permise di ricompattare l’elettorato anche con la presenza di qualche esponente di LeU che, ricordiamo, faceva parte del gruppo parlamentare Europeo del Pse e di cui Timmermans perorò l’inclusione.
Quindi di fronte alla prova elettorale, il Pd riuscì ad avere un discreto successo confermato anche nelle amministrative che si svolsero in parte contemporaneamente ed in parte due settimane dopo.
Come era il Pd due mesi fa
Proprio in quei giorni a cavallo tra elezioni europee e secondo turno di ballottaggio, i sondaggi di Swg segnalavano, infatti, il massimo di espansione del consenso al Pd, al 23,5%.
Ben sei punti di distacco tra Pd e Movimento Cinque Stelle che facevano pensare ad un consolidamento dello schieramento di centro sinistra a guida Pd, che sebbene ancora minoritario, era in qualche modo in espansione. A distanza di due mesi la situazione del Pd appare invece in regresso.
Se analizziamo i risultati dello stesso istituto, pubblicati ieri, notiamo infatti, che il Pd ha perso un punto e mezzo dal suo massimo post elettorale mentre il movimento cinque stelle rimane stabile alla cifra delle Europee, nonostante la catastrofe subita con l’avvio della Tav.
Qualsiasi osservatore politico di media caratura concluderebbe che il Pd ha sbagliato molte cose nel suo fare opposizione nonostante avesse avuto. una forte spinta dell’elettorato in questo senso.
Si sono ristretti da allora gli spazi di rappresentatività pluralistica all’interno del Partito. Si è proceduto ad una progressiva occupazione correntizia di organismo quali la segreteria nazionale, l’assegnazione del ruolo del vicesegretario allo sconfitto delle primarie di due anni fa, l’attribuzione del ruolo di amministratore a qualcuno che certo non rappresenta un simbolo di rinnovamento e di ricambio generazionale.
Unitamente alla defenestrazione politica di Faraone, all’assegnazione di una carica a Boccia per blindare l’appoggio di Emiliano. Una scelta che non convince, visto che Boccia non brilla certo per capacità di gestione della problematica social, se si guardano i numeri del suo profilo ed il flop della sua candidatura alla recenti primarie.
E visto il ruolo che ha assunto la Rete per spingere la mozione Ascani Giachetti che non aveva nessun radicamento organizzato nel territorio. E che pure ha doppiato i consensi di Boccia.
La confusione e le lotte intestine
A tutto questo si sono aggiunte le esternazioni di Franceschini che hanno dato l’idea di un partito confuso e spaccato. Proporre un’alleanza coi Cinque Stelle che massacrano quotidianamente il Pd con le accuse più infamanti, come sulle vicende di Bibbiano. Grillini, che tirano la volata a Salvini per farlo vincere in Emilia.
Insomma sembra proprio che con la gestione post elettorale del Pd di Zingaretti e con argomenti di questo genere si possa realizzare il sogno di leghisti e penta stellati. Quello di rappresentare contemporaneamente governo ed opposizione.
E sembrano riuscirci nel momento in cui i contrasti tra i due contraenti del contratto di governo raggiungono l’acme. Mentre avrebbero dovuto essere in grande difficoltà per il Russia gate. Dove le incertezze del Pd si sono rivelate nefaste per incuneare contraddizioni nel campo avversario.
Un capolavoro di insipienza politica quello di Zingaretti e del suo principale socio di maggioranza Franceschini. Da pubblicare negli annali del tafazzismo politico. Altro che arte della guerra alla Sun Tsu. Quello la guerra la faceva ai nemici mica all’interno del suo esercito.
Il PD.
Zingaretti non è partito bene.
Le deleghe su Riforme e Lavoro segnalano una profonda discontinuità con la linea politica di Renzi: Giorgis ha votato NO al Referendum costituzionale e Provenzano mira a ripristinare l’art.18 (quindi a tutelare più il posto di lavoro obsoleto che il lavoratore).
Ha delegato Martina e Boccia a riformare lo Statuto e a digitalizzare il partito.
Ottime proposte, pessimi gli esecutori.
Ma chissà…
Infine ha tirato fuori dal cilindro due idee confuse (ai miei occhi, s’intende): la Costituente delle idee e quella di una nuova alleanza.
Sì, raga, un centrosinistra civico (sic).
E nessuna decisione sui tre paletti magici:
- alleanze, centriste o no?
– più Mercato o più Stato?
- PD a vocazione maggioritaria o a coalizione ulivista?
Silenzio tombale su dove andiamo, con chi, perché,…?