Un ottimo film. Ma da una prospettiva di storia della lotta alla mafia alcune cose sarebbero da precisare
di Maria Teresa de Sanctis
Non so quante parole al mondo siano note universalmente come lo è la parola mafia. Ovunque diciamo Sicilia, dalla Cina all’Australia, dal Giappone all’Africa, dal Trentino al Messico e via discorrendo andando a zonzo per il globo, associare l’isola con quella parola è un fatto immediato, non si scappa.
Ci sarebbe però da aggiungere anche qualcos’altro nel collegare le due cose e cioè il coraggio. Difficile trovare un paese nel quale siano così tanti coloro i quali hanno dato la vita per un ideale di vita migliore, per costruire una società migliore, come in Sicilia. Tanti i nomi, noti e non noti, che formano un assai lungo elenco.
E sono anche tanti i film che di mafia raccontano, come l’ultima fatica di Marco Bellocchio, “Il traditore”. Trattasi di un ottimo lavoro, su un tema epocale, incentrato su Tommaso Buscetta. Che fu il pentito pià conosciuto e non solo perché il “primo” a pentirsi grazie al lavoro e all’intuito di Falcone.
Buscetta fu quell’affiliato a cosa nostra le cui rivelazioni fatte al giudice Falcone permisero quel grande, e forse unico, evento nella storia della procedura penale che fu il maxi-processo con più di 350 imputati.
Un film già “cult” e acclamato
Occorre subito dire che quel che più colpisce nel film “Il traditore” è la straordinaria interpretazione dell’attore Pierfrancesco Favino, nei panni del protagonista Buscetta, subito seguito da Fabrizio Ferracane nei panni del potente Pippo Calò e Luigi Lo Cascio in quelli del verace Totuccio Contorno. La ricostruzione dei fatti, e soprattutto delle fasi processuali, ha un ottimo ritmo che non fa assolutamente pesare le circa due ore e mezzo di film.
Molto veridiche le rievocazioni dei momenti che si ebbero in aula durante quel processo, dalle vivaci esternazioni degli imputati all’eccessiva mitezza del giudice, al confronto fra Buscetta e il boss Pippo Calò. Quello che invece pesa a chi scrive, da siciliana, è ben altro.
Il film racconta, cercando di attenersi il più possibile alla verità dei fatti, al di là di qualche libertà registica, del personaggio Tommaso Buscetta. Racconta della sua appartenenza alla mafia prima e della sua decisione di mettersi dalla parte dello Stato poi, e quindi del suo rapporto col giudice Falcone.
La potenza del Buscetta uomo di mafia e killer, si alterna con la sofferenza quale padre che ha abbandonato al massacro i propri figli, insieme con i dialoghi con Falcone durante i loro ripetuti incontri.
La descrizione del mondo dal quale l’uomo di mafia Buscetta proviene è dura, violenta, degna dei migliori film americani di gangsters. E diciamo pure che forse qualcosa poteva essere risparmiata allo spettatore. Ma si sa, il cinema deve fare anche i conti con quello che fa cassa e allora qualche scena di efferata violenza non necessaria può starci.
In ogni caso il film, è già un “cult” a pochi giorni dall’uscita nelle sale. Giustamente, anche perchè oltre ad essere stato realizzato da uno dei massimi registi in Italia, e si vede, gode della consulenza di grandi giornalisti come Francesco La Licata. Ieri lo stesso Bellocchio insieme a La Licata e Gian Mauro Costa ha parlato del film a Una Marina di Libri, proprio a Palermo, (sondando alcuni passaggi che, in qualche modo, rispndono già a questo nostro articolo, NdR).
“Il traditore”, i collaboratori di giustizia, la lotta alla mafia. Alcune precisazioni
E non è neanche questo che ci pesa, anche perché bisogna riconoscere la perfezione del racconto, la scorrevolezza del ritmo e la bravura di tutti gli interpreti. Insomma un film fatto bene, non c’è che dire.
Quello che chi scrive, essendo siciliana, non riesce in pieno ad accettare, è il fatto che non si sia fatto il benché minimo accenno a quanto le cose siano cambiate da allora.
È vero che questo possa non avere interessato in alcun modo il regista, al quale sembra sia importato soltanto mettere in luce e far conoscere ai più la figura di Buscetta, un uomo che dopo avere avuta sterminata parte della famiglia, decide di collaborare con lo Stato.
È anche vero che chi legge i giornali, o si tiene informato con qualsiasi mezzo, chi si interessa ai fatti del proprio paese e del mondo, sa che tanto è cambiato da quegli anni in Sicilia, dopo l’operato dei giudici Falcone e Borsellino, dopo la loro morte.
Certo, si può anche obiettare che ancora c’è tanto da fare per debellare la mafia e che ancora si combatte il fenomeno mafioso, e non solo in Sicilia, visto che ormai è impensabile, in tempi di mercati finanziari e denaro sporco ovunque in circolazione, dare una collocazione territoriale così circoscritta.
Ma, per la gente che non sa molto e vive di pregiudizi, quei pregiudizi che impediscono la crescita e il miglioramento della società, mortiferi tanto quanto le armi, allora, alla fine del film, insieme alle informazioni sulle varie condanne dei mafiosi processati, anche un semplice accenno a quel che da quei fatti è cambiato, sarebbe stato importante.
Ad esempio che nel 1986 nell’ordinamento penitenziario italiano venne introdotto, con la legge Gozzini, il regime di detenzione 41bis, il cosiddetto “carcere duro”, impedendo quel che accadeva allora in certe carceri (all’Ucciardone di Palermo, come riferito anche nel film di Bellocchio), che arrivassero ai boss aragoste e si facessero festini di ogni genere.
Andrebbe ricordata anche l’introduzione nel settembre del 1982 della legge “Rognoni-La Torre”, promossa dal politico e sindacalista Pio La Torre, ucciso dalla mafia nell’aprile dello stesso anno. Legge che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso”. Legge grazie alla quale oggi i beni dei mafiosi vengono confiscati dallo Stato.
Andrebbe ricordato l’impegno del comitato “AddioPizzo” nella lotta al racket delle estorsioni mafiose, il cosiddetto pizzo.
E questo per fare in modo che chiunque, anche colui che è poco (o falsamente e/o non correttamente) informato, possa almeno intuire che qualcosa è cambiato. Inoltre, se agli stranieri è concesso non avere alcun obbligo morale nel raccontare le storie di mafia, questo non può avvenire, a nostro avviso, se chi racconta è un italiano.
In tal senso non può bastare, nel film “Il traditore”, l’ultima fugace inquadratura di una strada con tante lenzuola bianche appese ai balconi dei palazzi.
Un’ultima osservazione va al personaggio di Buscetta così come viene presentato dal regista. Alla fine del film intorno a questo personaggio, che sembra essere diventato una sorta di eroe buono, nasce una certa ambiguità. Come se ci si potesse dimenticare delle sue colpe di mafioso e assassino.
Il traditore, tra documentario e “docu-film”, quali differenze: per una storia del Maxiprocesso nel cinema
Per concludere, se qualcuno avesse la curiosità di sapere qualcosa di più sul maxi-processo e sui fatti di mafia di quegli anni, consigliamo di vedere l’ottimo documentario del 2005 di Marco Turco “In un altro paese” tratto dal libro del giornalista americano Alexander Stille “Excellent Cadavers: The Mafia And The Death Of The First Italian Republic”, riadattato per il grande schermo da Vania Del Borgo e dallo stesso Marco Turco.
Un documentario che analizza, documenti alla mano, i fatti di mafia durante la prima repubblica fino al 1995. Mostrandoci un Paese, cioè uno Stato, che non seppe fino in fondo sostenere e proteggere i principali protagonisti di quell’epoca, i giudici Falcone e Borsellino.
Un film coraggioso, assai ben fatto dal punto di vista tecnico per l’ottima cucitura tra materiale audiovisivo, originale e d’archivio, e l’utilizzo di tante fotografie di Letizia battaglia. Un film capace di sostenere una tesi coraggiosa e forse questo spiega il coinvolgimento di ben sei Paesi, tra produttori e finanziatori, per poter realizzare il progetto. Come a dire che certe cose non sempre si possono dire con facilità nel proprio Paese.
Trailer ufficiale di “Il traditore”: