di Giovanni Rosciglione
Ieri mattina, domenica, ho deciso con mia moglie di fare una passeggiata “in città”. E già, “andare in città” fino a tutti gli anni ’70 era il modo di dire quando da Via Vodige o da Corso Calatafimi le mie zie venivano dalle mie parti (Piazza Castelnuovo).
Un bel giro da Piazza Antonio Mordini (ex Croci) sino alla Vucciria e Cassero Basso, entrando e uscendo da sontuose e decadute traverse, e ritorno. Qualche fermata, qualche foto e molti visi noti da salutare. Molti turisti estasiati e molti palermitani rassegnati.
Visite brevi e taccagne in qualche negozio e, all’uscita di uno di questi, incontro un amico/compagno che non vedevo da molti anni.
“Amico mio”, lo saluto; e lui ricambiando la mia affettuosità mi presenta sua moglie, indicandomi come amico di Facebook.
Ci abbracciamo con affetto, ci presentiamo reciprocamente le mogli, scambiamo qualche frase di circostanza e ci salutiamo.
Il mio amico Giorgio è stato un prestigioso docente universitario ad Ingegneria, punto di riferimento culturale e tecnico di quel piccolo ma non trascurabile pezzo di borghesia colta che da decenni si è mobilitata e impegnata con la sinistra storica. Anche suo figlio è rimasto coraggiosamente su questo versante.
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Oggi ho ripensato a quel piacevole incontro.
“Amico di Facebook”, mi ha definito!
Chi sta leggendo questa mia riflessione sa benissimo che vengo addirittura definito un fasbucchista compulsivo. E, quindi, la sua definizione del nostro rapporto non può certo considerarsi sbagliata, né tantomeno banalizzante.
Ma intanto vedo che mi sta stretta. E, penso, stia stretta anche a Giorgio e ad altri molti miei amici e amiche iscritti a Facebook. Piattaforma che (insieme a Twitter e a un mio pretenzioso Blog) uso quasi esclusivamente per parlare di politica, costume e antropologia metropolitana. Con sortite umoristiche all’altezza di un mediocre imitatore di Ennio Flaiano.
Ripeto quella che dovrebbe essere ormai una banale evidenza: i social sono preziosamente utili per una comunicazione globale. Utili e pericolosi come un coltello, con il quale puoi sgozzare un nemico o affettare una bella porzione di cassata.
Ma non possono sostituire (per fortuna) l’incontro, il guardarsi negli occhi, il poter decifrare il tono dell’interlocutore, lo spazio dell’incontro, il contesto fisico, uscire insieme, conoscersi.
Continuerò a scrivere sui social, ma con Giorgio e con molti altri, uomini e donne, non vorrei e non dovrei essere solo uno del “libro delle faccette”.
Sono certo che 10.000 amici FB, 3.000 followers di Twitter e migliaia di visualizzazioni del blog non equivalgano al valore e il piacere di un incontro fisico con chi ha voglia di parlare, confrontarsi, capire, spiegare i temi importanti e preoccupanti del presente. La “socialità” è la madre di tutti i social. L’incontro fisico ha la forza di decifrare ogni ambiguità, verificare la sincerità e la coerenza di ciò che ci diciamo.
Io penso, per esempio, che la cultura politica della sinistra è andata via via decadendo proprio quando (almeno in Sicilia) ha rinunciato ai luoghi dell’incontro, del dibattito, della proposta del territorio, cioè stare nello spazio/tempo della vita reale e rinunciando all’interpretazione delle luci, dei colori, degli odori, dei rumori, della vita.
So bene che è impossibile ritornare a strutture organizzative ormai anacronistiche, ma è necessario uno sforzo di empatia sociale. Una cosa che si può fare solo quando si è liberi e di sinistra.
Insomma Giorgio, non vorrei che il nostro prossimo incontro sia tra 5 anni ed io per farmi riconoscere debba mostrare il mio profilo Facebook:
In copertina Mark Zuckerberg, foto tratta da Wikipedia. By Anthony Quintano from Honolulu, HI, United States – Mark Zuckerberg F8 2018 Keynote, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75460240