di Giovanni Rosciglione
Le due pagine che vedete in foto sono di un piccolo volume della fine dell’ottocento appartenente a mio nonno, che come potrete notare era anche molto romantico…
Non si meraviglierà nessuno (spero) se il cinico Politofilo sfogli e legga spesso questo libro che contiene le poesie di Giacomo Leopardi: mi permetto il lusso di amare le struggenti e pensose rime del poeta di Recanati.
Tanto più – come certo saprete – che l’autore di queste meraviglie era una delle menti più lucide e razionali del romanticismo, che nelle sue prose svelò una potente e visionaria analisi della realtà umana, della ricerca della felicità e della connessione di queste con il clima, il territorio e la scienza.
Ma non è su Leopardi che voglio annoiarvi, ma sugli scherzi della memoria – quel magico e divino file che occupa uno spazio nella scatoletta del nostro cervello: la nostra coscienza universale, la nostra riserva di umanità.
Rileggo ogni tanto, come una preghiera laica, l’Infinito.
Lo ho fatto in questi giorni e, alla fine del primo rigo, ho trovato la parola colle.
Avevo finito di leggere da poco gli articoli sul pomeriggio di ieri 14 maggio sui colloqui che il Presidente Mattarella ha avuto con i due partiti che sono stati incaricati di formare il nuovo Governo, della nostra amata e stuprata Patria, di quella che quei signori chiamano la Terza Repubblica (a questo punto l’articolo 1 della Costituzione dovrebbe escludere la parola Democratica).
Colle, Patria e Democrazia sono le tre parole che il mio saturo e stanco ha neuronalmente collegate, e un mouse magico ha aperto il file della mia memoria.
Si trova nell’ippocampo, come il delizioso e fragile animaletto marino.
Sono i miracoli umani, questi.
Ho riletto il divino sonetto e, è stato un fulmine, ho calpestato la sua perfetta e perenne bellezza con questi miei pedestri e goliardici versi:
L’infinito 2.0
Sempre grave è il salir sull’ermo Colle,
E quest’ibridume, che per tanta parte
Di pubblica opinione a governar non porta.
Ma trattando e parlando, i sovrumani
Sforzi, con la stampa inquirente
Che il mio pensiero turba; ove per poco
Il cor non si spaura, io quello
Infinito sgomento per quest’impresa
Vo collegando: e mi sovvien l’eterno
E i morti Governi, e il Mattarel
Che s’adombra e mi congeda. Così tra questa
Dura realtà s’annega il pensier mio
E il naufragar m’è triste in questo mare.
Potrete mai perdonarmi?
Più che perdonato: condiviso. Come per le nostre vecchie antologie, dovresti mettere le note a piè di pagina per gli ignoranti (“coloro che ignorano”) che ormai sono una maggioranza. Nient’affatto silenziosa.