di Gabriele Bonafede
Con una “valanga” di preferenze, “ben” 357 voti (trecentocinquantasette), Ugo Forello è stato eletto candidato a Sindaco di Palermo per il Movimento Cinque Stelle. Una “folla oceanica” si sarebbe dunque riversata alle “urne digitali” delle comunarie grilline rischiando d’intasare le comunicazioni.
Magri, magrissimi numeri. Va detto però che, per quanto si è visto nel dibattito pubblico del movimento di Grillo, Forello ha dimostrato di essere il candidato preferibile. Più credibile, più preparato e soprattutto con una storia di antimafia e impegno sociale, il candidato a Sindaco dei grillini palermitani avrebbe forse le caratteristiche giuste per lanciare un rinnovamento.
Ma ci sono un poco di cose che ne azzoppano la candidatura.
La prima è, come detto, l’esigua, quasi risibile, quantità di preferenze per essere scelto. Una consistenza paragonabile a quella di un qualsiasi condominio cittadino e quindi una percentuale sulla popolazione di elettori palermitani che si scrive con alcuni zeri dopo la virgola.
La seconda è la mancanza totale di trasparenza al pubblico nel processo di votazione. Pochi, pochissimi voti per essere scelto e per giunta in un contesto di regole assolutamente sconosciute al comune elettore che poi dovrà scegliere il sindaco tra poche settimane.
La terza è la sensazione, emersa nel dibattito pubblico denominato “graticola”, che Forello sia un corpo estraneo al movimento grillino. Sensazione che può anche essere sbagliata. Ma rimane il fatto che, nella “graticola”, abbia dovuto difendersi persino dall’eventuale accusa di essere un “professionista dell’antimafia”. Affermando a gran voce “io non sono un candidato dell’antimafia”. La sua relativa estraneità al Movimento Cinque Stelle è stata confermata dai segnali evidenti, dalle fratture, dalla vicenda delle firme false, dalle situazioni di lotta interna nel movimento persino nella gestione delle pagine social.
La quarta è la stessa fratturazione nel Movimento Cinque Stelle. Fratture profonde, che non appaiono solo a Palermo ma anche in altre grosse città siciliane, in altre parti d’Italia e anche nella rappresentanza europea. Spaccature interne che non sembrano di superficie, anzi. Appaiono ogni giorno di più come estesi movimenti tellurici all’interno del Movimento Cinque Stelle persino nel metodo e nei principi di base.
La quinta “azzoppatura” sta nella mancanza di una conoscenza, o per lo meno di una posizione politica, nei riguardi dell’Europa. Candidamente ammessa da Forello stesso durante la “graticola”. Certo, sarebbe chiamato ad amministrare. Ma ad amministrare la capitale di una regione autonoma posta al centro della frontiera europea tra le più calde e drammatiche. Prima o poi dovrà prendere posizione per lo meno nella gestione dei flussi locali d’immigrazione e possibilmente su tante altre cose sul tema.
La sesta, è la mancanza di una squadra e di un programma al momento dell’investitura. Per lo meno che sia un programma convincente, condiviso con elettori e simpatizzanti e abbastanza forte per far sperare nel rilancio economico di Palermo.
La settima, dulcis in fundo, è il nodo del “contratto” con il capo del movimento. Forello dovrà sottoporsi a un “contratto” che somiglia vagamente a un “pizzo” sulla propria libertà d’opinione e sulla sua eventuale fuoriuscita dal Movimento. Una libertà d’opinione degli eletti, sulle scelte e le appartenenze, che sta alla base di tutte le costituzioni democratiche del mondo. Si deve, cioè, inchinare alla post-verità e a una specie di post-stalinismo.
Ironia della sorte per il fondatore di AddioPizzo.