di Giovanni Rosciglione
Si fa sempre più presente l’Europa dei nazionalismi. E voglio dirlo con parole mie, quello che sento, quello provo, come giudico, di questa giornata che, temo, dovremo spiegare ai nostri figli e ai nostri nipoti. E speriamo di poterlo fare.
Konrad Adenauer (il primo Cancelliere della Repubblica federale di Germania), Altiero Spinelli (intellettuale antifascista), Robert Schuman (Ministro degli Esteri francese tra il 1948 e il 1952), Paul-Henri Spaak (politico belga), Jean Monnet (politico e consigliere economico francese), Walter Hallstein (fervente europeista e fautore dell’integrazione), Sicco Mansholt (il primo Commissario europeo per l’Agricoltura), Alcide De Gasperi (ultimo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia e primo della Repubblica), Winston Churchill (Premier britannico durante la seconda Guerra mondiale), Johan Willem Beyen (banchiere e politico), Joseph Bech (politico e avvocato lussemburghese).
Questi sono gli uomini che, all’indomani della fine della seconda mondiale, hanno preso l’iniziativa di aprire un tavolo per costruire l’Europa. L’Europa come qualcosa diversa dagli stati nazionali esistenti, ma tenuta insieme dalla cultura, dai valori, dal progresso.
Furono, quegli undici, una bella squadra: culture liberali, socialdemocratiche, cattoliche, laiche e protestanti unite, dall’amore per la democrazia e consapevoli di quello che i popoli si stavano lasciando alle spalle.
Forse noi oggi non ragioniamo a sufficienza sul perché, dopo due guerre mondiali, (Mondiali. Cioè che hanno coinvolto America, Asia, Africa, Australia) è solo l’Europa che crede sia doveroso riflettere e cambiare profondamente l’aspetto statuale, economico, sociale e culturale del Continente.
Non è difficile capirlo. E’ che l’abbiamo volutamente rimosso.
Era proprio in Europa – la depositaria millenaria dell’arte, della cultura, del progresso, della democrazia – che per due volte dal 1914 al 1945 gli spiriti immorali della violenza, dell’egoismo, del nazionalismo erano usciti allo scoperto provocando un massacro mai visto nella storia e sfiorando l’estinzione dell’umanità.
Si! L’estinzione dell’umanità, se pensiamo al rischio nucleare che abbiamo corso. In Europa e non altrove!
Si capisce dunque che le ragioni fondanti non erano e non sono i mercati o la politica monetaria. Questi sono strumenti necessari, utili, indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo principale che quegli undici volevano raggiungere: un’Europa al riparo dai nazionalismi, dagli egoismi, dalle contese economiche e territoriali, vaccinata dal totalitarismo, dalla paura dei diverso, dalla cura dei confini come luoghi identitari. Un’Europa che esaltasse la storia che univa e unisce i suoi popoli.
L’Inghilterra – come sapeva bene Churchill – era e doveva essere parte di quella nuova Nazione, e non solo perché per un quasi miracolo non aveva subito l’invasione nazista.
Oggi siamo di fronte al fatto compiuto dal voto degli Inglesi, chiamati imprudentemente a giudicare senza gli elementi e le ragioni vere dell’Unione e preda di pulsioni e paure irrazionali.
Non so – e forse nessuno ancora sa – quali conseguenze avrà questa scelta e di quali gravità saranno i danni che subiranno i popoli e soprattutto la parte più debole di questi.
So certamente che, o riprendiamo il filo di quel grande progetto, o la nostra generazione – e soprattutto la nostra classe dirigente – dovrà spiegare ai giovani e alle future generazioni le ragioni del loro tragico fallimento.
Mi dispiace sempre dovere aggiungere elementi che contraddicono il senso di questo articolo totalmente orientato e parziale. Innanzitutto l’Europa non sarebbe mai esistita senza la decisiva opera degli Stati Uniti e del piano del Gen George Marshall. Fu solo grazie a quel piano che l’Europa poté crescere e diventare un luogo civile. I nomi da lei citati, furono grandi personalità ma sempre relative all’egemonia politica statunitense. Omettere gli USA e celebrare sono quelle star dell’europeismo è ingrato verso i veri creatori dell’Europa moderna. Noi europei però siamo così ingrati che dimentichiamo di omettere sempre che l’Italia è un paese democratico principalmente grazie a loro. Sul nazionalismo mi sembra si ripeta a tamburo battente sempre lo stesso mantra ovvero che nacque per egoismo. Se aprisse qualsiasi quotidiano europeo dai primi del 900 in poi, si accorgerebbe che la paura principale delle democrazie liberali fu il comunismo. Dal 1917 in poi questo fenomeno divenne una costante di tutti i paesi liberali. Ciò che il mondo vide nella Mosca del 1917 era realmente temuto da tutte le cancellerie d’Europa. Vittorio Emanuele III e l’establishment italiano dell’epoca gradirono proteggersi e consegnare l’Italia al fascismo piuttosto che venire fucilati in piazza come il cugino zar. D’altronde quasi tutto l’arco costituzionale appoggiò Mussolini nel 1922. Non minimizzi la paura anticomunista e sopratutto, a conti fatti, sia meno duro verso il nazionalismo poiché ci salvò da decenni di ateismo forzato, pianificazione della fame, assoggettamento alle decisioni di Mosca e ci salvò dalla privazione di qualsiasi libertà individuale. Il nazismo fu un grande male che visse 12 anni ma assai meglio di quel male senza fine che albergò in Europa (NB la Russia è Europa )fino al 1989.
L’idea di un’Europa libera e unita ispiratrice del Manifesto di Ventotene stilato da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann fra l’inverno 1940 e la primavera 1941, mediata dal Governo De Gasperi, persuase i ministri degli Esteri di Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi che elaborarono, agli inizi degli anni ’50, una bozza di trattato costitutivo della Comunità Politica Europea (CPE) e della Comunità Europea di Difesa (CED), che prevedeva un Consiglio Esecutivo Europeo espresso da un Parlamento bicamerale eletto a suffragio universale diretto, una Corte di Giustizia e un Consiglio Economico e Sociale.
Il progetto fallì nel 1953 a causa della mancata ratifica della CED da parte dell’Assemblea nazionale francese.
Nelle more, il trattato stipulato da quei paesi a Parigi il 18 aprile 1951, previde la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) cui furono affiancate, con i Trattati di Roma del 25 marzo 1957, la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom), costituendo il Mercato Comune Europeo (MEC).
Dopo un quarantennale percorso di integrazione esclusivamente economica, le tre comunità vennero fuse nell’Unione Europea (UE) con il trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992.
Gli iniziali ideali politici furono del tutto decantati e sbaglia o mente chi vuol farci credere che l’attuale Unione sia quella proposta da Altiero Spinelli e sodali.
Altrettanto per l’ideale europeista di Churchill, l’unico tra gli statisti citati nell’articolo che nel 1946 propose una federazione europea di regioni e non di stati e che, rimasto inascoltato, si defilò, come dimostrano il fatto che la Gran Bretagna non è stata tra i paesi fondatori di “questa” Unione e la Brexit del 23 giugno scorso.
Troppo facile dire, quando gli elettori non si esprimono come noi vorremmo, che erano disinformati e che non hanno capito per cosa si votasse. Qualunque parte vinca al referendum sulla deforma costituzionale di Matteo & Maria Elena, l’altra spiegherà in questo modo la propria sconfitta!