di Pasquale Hamel
Chi ha pratica con i documenti, e conosce la genesi della nostra Costituzione repubblicana, non può meravigliarsi di trovarne i principi e, perfino in qualche caso, i dettagli in due elaborazioni scritte negli anni in cui ancora il territorio italiano era sotto il controllo dei nazifascisti. Si tratta del cosiddetto Codice di Camaldoli del luglio del 1943 ma completato nel 1944 e delle Idee ricostruttive della Democrazia cristiana, elaborato nel ’43 e pubblicato, clandestinamente, nel novembre del 1944.
Il primo di questi elaborati, promosso dall’assistente ecclesiastico dell’associazione laureati cattolici Monsignor Bernareggi, sotto l’occhio vigile di Giorgio La Pira che manteneva il contatto con i professorini della cattolica – parlo di Fanfani, Lazzati e Dossetti – fu materialmente redatto dal giovanissimo Sergio Paronetto e da Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni e Giuseppe Capograssi.
Il secondo è opera materiale di giovani e meno giovani, come Paolo Bonomi, Pietro Campilli, Guido Gonella, Achlle Grandi, Giovanni Gronchi, Stefano Riccio, Pasquale Saraceno, Mario Scelba e Giuseppe Spataro, guidati nel loro lavoro di elaborazione da Alcide De Gasperi che ne firmò, con lo pseudonimo di Demofilo, l’introduzione al momento della pubblicazione. I due documenti per quanto riguarda i contenuti, anche perché alcuni dei redattori furono gli stessi, potrebbero facilmente anche integrarsi seppure il loro punto di partenza e, soprattutto, la destinazione sia diversa.
Mentre il Codice di Camaldoli è un disegno di architettura sociale offerto alle forze politiche che avrebbero dovuto governare un Paese uscito dalle tenebre della dittatura fascista, nel caso delle Idee ricostruttive il soggetto destinatario era un partito che si avviava ad assumere il ruolo di guida del Paese da ricostruire sul piano materiale, ma anche sul piano morale e democratico.
I due documenti, che superano il provincialismo tipico della cultura politica italiana e si agganciano alla migliore cultura europea – nel caso del Codice di Camaldoli soprattutto a quella francofona del codice di Malines e di intellettuali del calibro di Mounier o Maritain – in gran parte si incrociano. Calando nella prassi politica i dettami della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, che trovava nella Rerum Novarum e nella Quadragesimo anno i suoi fondamenti.
Ma quali erano le linee guida e i principi che stavano alla base dei due documenti? Possiamo sintetizzarli in questa frase: equilibrare l’affermazione dei principi di libertà con la garanzia della giustizia sociale, ponendo quest’ultima fra i fini primari dello Stato allo stesso livello della salvaguardia della libertà. Oggi quest’affermazione, nonostante l’evolversi della situazione economico-sociale e nonostante i mutamenti epocali effetto anche dello “slargarsi del mondo” dovuta alla globalizzazione, sembrano fatti scontati ma, allora, a ben vedere non era proprio così.
C’era infatti chi rifiutava quest’equiparazione esaltando ad esempio la libertà e sotto-ordinandole la giustizia sociale e chi, all’opposto, dava priorità alla giustizia sociale ponendo la libertà su un gradino inferiore. Equilibrare e pari-ordinare i due principi era, di per sé, operazione rivoluzionaria, mutamento radicale di prospettiva, che irrompeva con la forza di un portato culturale di tutto rispetto nel panorama politico italiano.
E proprio in corrispondenza dell’opportunità di questo sforzo riequilibratorie si individuava: a) un ridisegno delle funzioni e della struttura e dei caratteri fondamentali dello Stato; b)il riconoscimento di un pluralismo organicistico e istituzionale entro l’ordinamento politico; c) la tutela del singolo.
Lo Stato amministrativo doveva essere, dunque, investito di funzioni nuove e attive proprio per la realizzazione di quella giustizia sociale alla cui base, come appariva evidente, doveva stare “il valore della persona umana considerata integralmente nei suoi aspetti materiali e spirituali”, e questo stesso Stato, per raggiungere tali obiettivi e realizzare la pienezza della democrazia, andava discentrato valorizzando le realtà locali e ridisegnando, attraverso la istituzione delle regioni, la sua architettura.
A leggere la Carta Costituzionale, nonostante il non indifferente apporto delle altre culture allora presenti nel Paese, si può ben dire, che in fondo in gran parte era già stata scritta nei due documenti di cui abbiamo parlato.
Foto in copertina: Il Parlamento Italiano in seduta comune per il giuramento del presidente Sergio Mattarella (3 febbraio 2015), di Presidenza della Repubblica, Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38210179