
di Gianluca Navarrini
In queste ore l’autorevole voce di Claudio Martelli – con cui di solito concordo – si è levata contro il DDL Zan. Sui suoi rilievi credo di dover esprimere il mio sommesso dissenso, cominciando con il dire che il DDL Zan – come oramai sanno anche i sassi – è volto a punire gli atti discriminatori o violenti, suscitati dall’orientamento sessuale della vittima. Ripeto: gli atti, non le opinioni.
E, infatti, l’art. 4 del DDL Zan fa salva la libera espressione di convincimenti od opinioni, con il limite dell’istigazione a delinquere (già punita da altra disposizione del codice penale). La norma, dice Martelli, lascia ampia discrezionalità al giudice. È vero, ma non più di quanta non ne lasci l’istigazione a delinquere. Se mai ci fosse un problema, perciò, esso non è nel DDL Zan.
Il DDL Zan, l’art. 7: giornata contro discriminazioni di genere
L’art. 7, a sua volta, istituisce una (retorica) “giornata” contro le discriminazioni di genere per «promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione» e per «contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione».
A tal fine, la stessa disposizione prevede che, in tale occasione, siano «organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile» per educare al rispetto e all’inclusione e per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Su queste iniziative Martelli è critico, perché – sostiene – i ragazzi in età scolare sarebbero soggetti ad un indottrinamento di stato.
Il giudizio di Martelli – di cui ho sempre ammirato la limpidezza del pensiero – credo che questa volta sia frutto di un abbaglio: le cerimonie, gli incontri o le altre iniziative (che, per come conosco il mondo della scuola, si ridurranno ad un sostanziale nulla) dovranno essere volte a promuovere il rispetto degli altri, non ad indurre i giovani a darsi, tanto per dire, al culto di Dioniso.
L’educazione al rispetto degli altri – nonostante si possa non condividere la loro condotta di vita – non è indottrinamento bolscevico, ma educazione civica al pluralismo.
La Chiesa e il rispetto degli altri
Perché il rispetto della dignità della persona e il divieto delle discriminazioni fondate sulle opinioni, sul sesso e sulle altre condizioni della persona sono principi già enunciati espressamente nell’art. 3 della Costituzione, che costituisce una delle pietre angolari del nostro patto di convivenza civile.
E su quest’ultimo punto appare incomprensibile anche la posizione assunta dalla Santa Sede, da cui si dovrebbe arguire che le scuole cattoliche non intenderebbero rispettare proprio l’art. 7, perché – se non ho capito male – contrasterebbe con la loro libertà di insegnare la dottrina cristiana. Credo, a questo punto, di essere confuso.
E se non fossi profondamente laico, invocherei il mistero della fede, anziché quello della malafede. Se il cristianesimo è religione di pace, fratellanza, accoglienza e non discriminazione, perché mai ritenere contrario al proprio magistero un giorno (blandamente) destinato all’educazione dei giovani alla non discriminazione e alla non violenza?
Tanto più che nessuno potrà mai vietare alla Chiesa di affermare, ad esempio, che l’omosessualità è una depravazione contro natura. Si chiede alla Chiesa, però, di aggiungere che la commissione di un peccato non può giustificare bastonature, insulti o discriminazioni contro il peccatore. La Chiesa predica forse la violenza privata o la discriminazione contro chi commette delitti orrendi, come l’omicidio e la pedofilia? Perché la sua voce non dovrebbe levarsi anche per il rispetto della dignità e dell’integrità psico-fisica degli omosessuali?
In copertina, via della Conciliazione a Roma vista dalla cupola di San Pietro. Photo by Caleb Miller on Unsplash.