di Gianluca Navarrini
Leghisti e radicali hanno stretto un’alleanza per promuovere sei referendum sulla giustizia. E Goffredo Bettini – motore immobile della segretaria del PD – ha subito accolto con favore l’iniziativa. Azione, per bocca di Enrico Costa, è parsa meno entusiasta, soprattutto del metodo usato. Meno chiara è la posizione di merito, anche se Costa sembra concordare con lo spirito che anima i promotori del referendum. Vediamo, dunque, di cosa si tratta.
Il primo quesito riguarda la responsabilità civile dei giudici e qualora fosse approvato introdurrebbe la possibilità di far causa per danni direttamente al magistrato. Il secondo ha ad oggetto la separazione delle carriere di PM e giudici.
Il terzo quesito mira a ridurre l’applicazione delle misure cautelari detentive, visto che oltre un quarto della popolazione carceraria non ha subito una condanna definitiva e, all’esito del giudizio, molti si scoprono innocenti (e vanno risarciti per l’ingiusta detenzione).
Il quarto punta all’abrogazione della “Legge Severino”, per consentire ai pregiudicati non espressamente interdetti dai pubblici uffici di candidarsi alle elezioni. Il quinto si propone di eliminare le liste nelle elezioni del CSM, per neutralizzare le correnti della magistratura.
Il sesto e ultimo quesito, introdurrebbe una partecipazione piena degli avvocati e dei docenti universitari all’attività dei Consigli giudiziari, organismi distrettuali che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati e di trasmettere al CSM le loro relazioni.
Sei referendum su temi delicatissimi
Si tratta di temi delicatissimi, sui quali mi pare che si debba intervenire con il bisturi e non con il machete. Sono d’accordo sul fatto che sono normative da rivedere, ma non a colpi di referendum abrogativo.
D’altronde, fatti salvi i quesiti sulla separazione delle carriere e sui Consigli giudiziari, sugli altri nutro più di un dubbio. Anche perché due di essi lasciano sorgere il sospetto che l’abrogazione interessi solo al ceto politico.
Infatti, la cancellazione della custodia cautelare per il reato di finanziamento illecito ai partiti e della “Legge Severino” sembrano “riforme” tutt’altro che di interesse generale.
Sei referendum e un nodo tecnico: la responsabilità dei magistrati
Quanto alla responsabilità civile dei magistrati, il quesito mi pare vagamente propagandistico. Il problema del sistema attuale non è, infatti, quello di avere azione contro lo Stato anziché contro il giudice, ma di circoscrivere la responsabilità a fattispecie davvero straordinarie, che non si verificano praticamente mai.
La legge 117/1988 prevede, infatti, che non possa dar luogo a responsabilità la valutazione dei fatti e delle prove, né l’interpretazione delle norme di diritto. Vi è, dunque, responsabilità solo in tre casi:
a) qualora il giudice abbia commesso un reato;
b) allorché il giudice abbia completamente travisato i fatti o le prove, affermando l’esistenza di un fatto inesistente, o, viceversa, l’inesistenza di un fatto esistente, a patto che esistenza o inesistenza risultino incontrastabilmente dagli atti del giudizio;
c) quando il giudice abbia ritardato o omesso l’adozione di un provvedimento, sempre che, dopo la scadenza del termine previsto dalla legge, la parte interessata abbia depositato un’istanza “di sollecito” e siano decorsi trenta giorni dal deposito (estensibili, da parte del dirigente dell’ufficio giudiziario, fino a tre mesi e prorogabili di ulteriori tre mesi per i casi di maggior complessità).
Insomma, escludendo il caso del reato commesso dal giudice, è praticamente impossibile che questi possa incappare in una qualche responsabilità civile, visto che qualsiasi strafalcione può essere giustificato come valutazione del fatto o interpretazione del diritto.
Ammettere, dunque, l’esperibilità dell’azione direttamente contro il giudice non credo possa servire a molto, se non si cambia l’impianto generale della normativa. Ma per cambiare radicalmente impostazione occorre una profonda revisione dell’intero ordinamento giudiziario, a partire dalla disciplina che la costituzione detta sulla magistratura. E non lo si può fare con un referendum.
Esaminare meglio i quesiti
Perciò, penso sia opportuno esaminare meglio i quesiti, valutandone la reale incidenza sull’amministrazione della giustizia e sull’ordinamento giudiziario. Se, come a me pare, questi referendum servono a poco (e quel poco non è neppure di interesse generale), forse sarà meglio concentrarsi sull’elaborazione di veri testi di riforma da portare dinanzi alla Camere.