di Gianluca Navarrini
Enrico Letta e le correnti del PD
Enrico Letta non è più quello di un tempo, dicono molti osservatori, perché in questi anni avrebbe maturato le qualità per governare il PD. Non so se ciò corrisponda al vero. Ma è evidente che Letta sta già affrontando il suo primo scontro con i potentati interni al partito: la sostituzione dei capigruppo di Camera e Senato. Delrio e Marcucci non intendono dimettersi e hanno il sostegno delle correnti di cui sono espressione.
Letta, a sua volta, non sfodera argomenti irresistibili. «La squadra del Pd – pare abbia detto Letta così come riportato da “Huffington Post” – è una squadra solo di maschi e la questione delle quote non è sufficiente. I gruppi sceglieranno donne di qualità come sono le donne che sono nei gruppi del Pd».
Intento nobile, ma motivazione debole, da cui traspare che anche Letta incontra le medesime difficoltà dei suoi predecessori. Il segretario opera come un corpo estraneo e subisce la forza delle correnti, capaci di spartirsi partito e incarichi politici (presidenza dei gruppi parlamentari, incarichi nelle commissioni, posti di sottogoverno). E poco conta se sia designato o meno dalle primarie, perché il segretario svolge le funzioni di un monarca fantoccio: regna sul partito, ma non lo controlla.
La sistematica violazione dello statuto
Il vero problema del PD – e non solo del PD – è che nessuno rispetta lo statuto. E, anzi, viene il dubbio che questo statuto non lo abbia letto neppure il segretario, perché altrimenti si sarebbe accorto che la sostituzione dei capigruppo l’avrebbe potuta imporre in base all’art. 3, in cui si proclama che il PD assicura, a ogni livello, la parità di genere tra uomini e donne. Ma, d’altra parte, la stessa disattenzione si rileva anche per il ruolo del segretario nazionale, che lo statuto definisce come «candidato all’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri».
Dopo le primarie del dicembre 2013, questa regola fu rispettata dal voto della Direzione nazionale del PD del 13 febbraio 2014: Renzi era il nuovo segretario del PD e gli fu riconosciuto il diritto di subentrare a Letta come Presidente del Consiglio.
Ma lo stesso Renzi – da pessimo comunicatore di sé, qual è a volte – contribuì a creare la confusione che poi lo ha travolto, entrando a Palazzo Chigi dopo aver affermato che non lo avrebbe fatto senza passare per le elezioni e dopo aver comunicato il fatale «stai sereno» proprio a Letta.
La ferocissima contestazione a Renzi, tutta interna al PD, ha fatto il resto, con i maggiorenti del partito compatti nel sostenere l’inammissibilità – o, comunque, l’inopportunità – del doppio incarico di Presidente del Consiglio e di segretario del PD. Malgrado l’art. 5 dello statuto del PD preveda esattamente l’opposto.
Tanto è vero che è espressamente contemplata la deroga al limite dei due mandati da segretario del PD, nel caso in cui il segretario uscente sia al suo primo mandato da Presidente del Consiglio: regola che, chiaramente, implica proprio il cumulo dei due incarichi.
La necessità di una legge sui partiti
Questi episodi dimostrano che, in assenza di una legge organica sui partiti politici, i soli statuti possono valere a dirimere qualche piccolo contrasto di second’ordine, ma non hanno la forza di fronteggiare le tensioni alimentate e le prevaricazioni messe in atto dalle correnti. Di cui oggi rischia di rimanere vittima anche Enrico Letta.
Il quale non so quanto sia cambiato in questi anni. Ma so con certezza che i maggiorenti del PD hanno accentuato la loro inclinazione a calpestare impunemente lo statuto del partito, espropriando gli iscritti dei loro diritti di partecipazione e danneggiando la segreteria nazionale, privata di fatto delle proprie prerogative e tenuta in ostaggio dai capricci del notabilato di partito e dal personale tornaconto politico dei capi corrente.
In copertina, Enrico Letta. Immagine tratta dalla sua pagina ufficiale Facebook (cut). Immagine intera qui.
Anche la foto nel testo è tratta dalla pagina ufficiale Facebook di Enrico Letta.