di Gianluca Navarrini
Penso da tempo che il Movimento Cinque Stelle abbia avuto un grande merito: aver riattivato il metabolismo democratico di questo Paese attraverso i meet-up e il fermento dei primi tempi. In quest’ottica, quindi, l’esperienza del M5S va giudicata positivamente perché ha fatto scoprire (o riscoprire) l’attivismo politico a molti cittadini, contribuendo alla formazione delle loro “buone abitudini democratiche”.
Ma il mio giudizio sul Movimento è complessivamente negativo. Perché ha inoculato delle tossine proprio nella forma mentis del cittadino attivo, corrompendone le “buone abitudini democratiche” che faticosamente si andavano formando. In primo luogo ha usato gli spregevoli metodi delle autocrazie: denigrazione sistematica dell’avversario, falsificazione delle notizie, aggressione agli organi di stampa e alle istituzioni democratiche. In secondo luogo ha generato l’illusione che tutti potessero occuparsi di tutto, dall’astrofisica alla politologia, dopo aver spigolato superficialmente tra le voci di Wikipedia nella migliore delle ipotesi.
Il Movimento ha, in questo modo, propagandato un egualitarismo da operetta: lo slogan «uno vale uno» ha di colpo fatto apparire superata l’eguaglianza dei diritti, quella delle opportunità e finanche quella della ricchezza. E ha inaugurato l’egualitarismo della cultura e delle competenze, trascurando che la cultura è egualitaria solo ai blocchi di partenza. Perché tutti nasciamo egualmente ignoranti e solo alcuni, nell’alambicco dell’impegno e della fatica, riescono a distillare l’essere umano dall’animale che siamo.
A ciò, infine, si è sommata la distopia della «democrazia diretta» e del “popolo della rete” chiamato a votare, con metodo referendario, su tutto. Una negazione della concezione moderna della democrazia.
Il Movimento Cinque Stelle, in questo modo, ha covato nelle sue viscere una serie di contraddizioni irrisolvibili. Ha chiamato i cittadini alla partecipazione democratica mentre sfigurava la democrazia. Ha richiesto verità mentre appestava l’aria con le sue menzogne. Il Movimento ha predicato la pace mentre rendeva incandescente il clima attraverso la violenza, dai vaffa-day all’ostruzionismo fisico in Parlamento. Poi ha difeso la Costituzione mentre ne postulava il definitivo superamento. Ha chiesto trasparenza cullandosi nell’opacità. Così l’assemblearismo, i processi pubblici, lo streaming erano pratiche da imporre agli altri, ma sostanzialmente ignorate in casa propria.
E, alle elezioni politiche del 2018, il Movimento è riuscito a convincere un terzo degli elettori che chiunque possa diventare, nel volgere di poche ore, presidente del consiglio dei ministri o ministro degli esteri. Ma le successive prove di governo del Movimento hanno convinto anche i più scettici: non si può improvvisare nella gestione dello Stato. Lo si può fare …nel jazz. Dove, d’altronde, per padroneggiare la tecnica dell’improvvisazione occorre studiare una vita. Perché neanche là, dove l’improvvisazione è metodo costitutivo, ci si può improvvisare improvvisatori.