di Vincenzo Pino
A sentirlo parlare mentre imputa la crisi a Macron e la Merkel sembra che questi fossero i capigruppo di una indefinita formazione parlamentare italiana che ha presentato una mozione contro il suo “legittimo” governo.
La scarsa conoscenza del sistema istituzionale italiano, i troppi cocktail assunti, l’eccitazione da Papeete e magari qualche colpo si sole in più, gli hanno fatto dimenticare che unico responsabile della crisi e della conseguente formazione di un nuovo governo è solo lui. Che ha presentato una mozione di sfiducia parlamentare contro il sodale del contratto che esprimeva il Presidente del Consiglio.
Li aveva etichettati come la congregazione del No, per paradosso, proprio quando Conte aveva sbloccato la Tav.
Il tutto condito da deliri sulla necessità di “ pieni poteri”. Era al vertice alto della parabola. E una rapida cavalcata nelle elezioni anticipate gli avrebbero subitaneamente concesso, visti i risultati elettorali alle europee e la ulteriore crescita nei sondaggi della calda estate italiana.
Pieni poteri e Papeete
Non ha mancato di assumerli subito questi poteri nella recita fatta da Presidente del Senato. Quando voleva imporre nel giro di due giorni la discussione sulla mozione. Intimando i parlamentari, di alzare il culo dalle località turistiche e di precipitarsi a Roma per lavorare di Ferragosto, “come fanno i comuni cittadini italiani”, come lui ovviamente…
Pretendendo l’interruzione degli ozi da tintarella per i parlamentari in ferie. Mentre lui aveva “faticato” come un mulo in quei giorni, a “vigilare” le spiagge facendosi aiutare dal figlio in acquascooter. Ed aveva lavorato alla consolle del Papeete per far ballare l’inno italiano.
In questo obrorbrio, era “solennemente” accompagnato dal dimenarsi sinuoso di cubiste seminude, novelle vestali della Repubblica da lui agognata, un po’ modello Berlusconi da Villa Certosa.
Il cultore dei “valori”
Si fa fatica nell’occasione a riconoscerlo da quello che si era esibito al convegno di Verona, tutto casa e famiglia, monogamica eterna e benedetta da Santa Romana Chiesa, come da suoi trascorsi personali.
Era accompagnato allora dalla altrettanto tradizionalista Giorgia Meloni che esibiva un simile curriculum agli astanti. Ma che in quella occasione ha scoperto il significato della espressione “more uxorio” di cui prima non aveva mai sentito parlare.
Non mancavano di accompagnarlo infine l’esibizione del crocifisso e la invocazione di benedizioni nelle occasioni in cui negava soccorso a disperati in fuga da guerre e da violenze di ogni genere.
La parabola finisce in tempesta
Oggi fa il moralista. Contro il “poltronificio” che sarebbe diventata l’Italia dopo la sua cacciata. Lo fa dopo aver offerto la poltrona di Presidente del Consiglio a Di Maio che non aveva conosciuto l’anno scorso tanta generosità dal “forno leghista”.
Ma sotto sotto pensa alla perdita delle sue di poltrone. Quelle del Ministero degli Interni dove ha piazzato tutto lo staff dei suoi comunicatori per realizzare una permanente campagna elettorale. Pensa alla Rai dove ha piazzato Foa. E poi, pensa a tutti i ministri leghisti, ben sette, che hanno dovuto sbaraccare dopo la crisi-Papeete.
Pensa alle cariche ministeriali di Giorgetti dove ha potuto piazzare anche il figlio di Foa. Pensa ad Arata, responsabile energia della Lega i cui interessi imprenditoriali venivano curati dal sottosegretario Siri.
Non solo, ma pensa a Savoini introdotto negli ambienti ministeriali dalle segnalazioni del suo ministero e che ne accrescevano il curriculum ai fini della realizzazione di tangenti moscovite. Pensa alla sua parabola così netta e senza colpevoli, al di fuori di se stesso. E chi è causa del suo male, pianga se stesso.
Una parabola rapida, rapidissima. Pensa un po’. La pacchia è finita Salvini. In tempesta, come l’estate di Vivaldi. Adesso, anche nel tuo partito sei messo in discussione.
In copertina: tempesta a Venezia. Foto di Riccardo Chiarini da unsplash.