Il regista palermitano non va a Venezia per presentare il suo film in concorso. Ecco cosa ne dice in una lunga intervista
di Gabriele Bonafede
Nemmeno noi poveri mortali andremo a Venezia. Seguiremo “Venezia 76”, come sempre, da umili e ultimi spettatori: da casa o ufficio, senza il benché minimo atomo di “glamour” o anteprime. Franco Maresco, sconvolgente regista palermitano che resiste ora e sempre all’invasione del non-cinema, è anche lui della partita. Non andrà a Venezia 76, come da non-copione.
Il sottoscritto, non ne parliamo. Non perché non mi piacerebbe, per carità. Mi farei una corsa a piedi, per quanto mi riguarda. Anche in questi tempi di crisi.
Ma a ognuno il suo. E dopotutto qui a Palermo abbiamo sempre le porte aperte e possiamo sempre rivolgerci a un Consiglio d’Egitto o a uno zio d’America.
D’altronde, come ha detto qualcuno “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Almeno questo ci resta, anche perché la mafia non è più quella di una volta. Ma, forse, nemmeno l’antimafia.
E così ci resta la porta sempre aperta di Franco Maresco, checché se ne dica. Aperta, almeno ogni tanto, se non sempre. Magari andando a comprare il giornale la mattina. Un portone, non una porta. Tanto da permettermi di realizzare una lunghissima intervista. Della quale, qui, propongo solo un estratto. E solo in scritto, non nella versione integrale audio o video.
Verso la seconda metà di marzo ci siamo incontrati, largamente facilitati dall’avere il luogo di lavoro nella stessa città, Palermo, e per giunta a poche decine di metri di distanza. Ma stavolta, l’incontro non è stato di fronte a un bicchiere di vino o a un cannolo di manna, e nemmeno davanti al giornalaio comune.
Una lunga intervista, dicevo. Che, partendo dal Cinema De Seta, dalla Associazione Lumpen di Maresco e collaboratori, dalle programmazioni sul “Cinema ritrovato” è andata a “parare”, irresistibilmente, sul suo film. Che era allora in montaggio, se non erro. E cioè il nostro “La mafia non è più quella di una volta”.
Qui di seguito, dunque, ecco le nostre parole, nude e crude. Senza togliere né aggiungere nulla, posto il mantenimento del focus sul film nell’ambito di una più ampia e (non sempre) gradevole conversazione di un paio d’ore.
Immancabilmente condita di irripetibili “prese in giro”, talvolta in comprensibilissimo idioma palermitano, non sempre parlato, ma a gesti. Anch’essi irripetibili. Qualcosina di irripetibile, però, l’ho mantenuta. Anche perché, Franco Maresco è irripetibile, ça va sans dire.
L’intervista a Franco Maresco realizzata nel marzo 2019
Possiamo parlare di questo film? Oppure adesso non ti va?
Noi possiamo parlare di tutto…
Su che argomento è? C’è un titolo definito, o diciamo così, pre-titolo non ancora definito?
Il titolo è “La mafia non è più quella di una volta”. Ed è un film che vede ancora una volta protagonista, co-protagonista in questo caso, Francesco “Ciccio” Mira, che era il protagonista di “Belluscone”. E insieme c’è Letizia Battaglia. L’abbiamo coinvolta in un modo che sarà sorprendente, Letizia Battaglia.
Che cos’è questo film?
Questo film è un anno raccontato che parte il 23 maggio 2017 e si conclude l’anno successivo esattamente il 23 maggio. Nasce quindi dalle parti dell’albero Falcone e si conclude dalle parti dell’albero Falcone, quindi un anno. Raccontiamo cosa succede dal 2017 al 2018. Perché tu sai che il 2017 era il venticinquennale della morte di Falcone e Borsellino.
Quindi, inizia con le commemorazioni di quel venticinquennale?
È un viaggio. Parte così: che cosa è cambiato dopo venticinque anni? E allora, il film, l’autore, va alla ricerca di questo. Che cosa è cambiato realmente? C’è entusiasmo? C’è commozione oggi? Questa bella giornata di primavera…
Quindi è un documentario…
È un documentario… È un film, non lo chiamare documentario. È un film, perché chi lo vedrà poi capirà perché non è il documentario tradizionale, con voci fuori campo, eccetera… Diciamo che in qualche modo è imparentato con il precedente film.
Con “Belluscone”…
Con “Belluscone”.
Anche nella produzione? Perché la produzione rimane la stessa, o no?
La produzione rimane Rai Cinema, rimane Ila-Palma, con Rean Mazzone, e in più abbiamo dei produttori associati che si sono accodati in seguito che sono appunto Paolo che è un produttore indipendente, e anche Ficarra e Picone, che hanno una piccola produzione che si chiama TRAMP. Scritto Tramp, però come il Vagabondo.
Cioè con la A, T R A M P. E Salvo e Valentino sono anche nel film?
No, no. Il film ha una evoluzione produttiva particolare. Tutti i miei film hanno una produzione molto affaticata perché sono un signore che non lecca il culo eccetera… Io ho solo fatto una telefonata a Valentino e TRAMP. E loro mi hanno detto “Franco tra due giorni te lo facciamo sapere”. Sono stati puntuali e a tutt’oggi (marzo 2019) non hanno visto un secondo, un nanosecondo del film, quindi un fatto di fiducia e di amicizia…
Tra voi c’è d’altronde c’è un bel rapporto, lo abbiamo visto anche in “Belluscone”, dove c’era la loro presenza che è molto divertente. Anch’essa in piena fiducia, ricordo. Questo è anche descritto nel film dove loro dicono: “Corriamo”. E questa è una parte molto carina del film…
Questo va detto. E quindi il film, ripeto, parte da quell’anno (il 2017) e si chiude l’anno successivo e ovviamente è un viaggio. È un film quasi di “fanta-sociologia”, perché nell’anno di una visione, possiamo dire “piffiana”? Da Pif? Di una Palermo che bla, bla, bla, noi invece facciamo un viaggio, per altro stavolta legittimato dall’unico simbolo che è rimasto dell’antimafia, che è Letizia Battaglia, facciamo un viaggio allucinate. C’è un titolo di un film “Viaggio allucinante”, viaggio allucinante, ancora più allucinante di “Belluscone”.
E quindi non c’è più la mafia di una volta, ma non c’è più l’antimafia di una volta…
È speculare.
È speculare, è evidente…
È chiaro che il titolo ovviamene ha tutta l’ironia di questo mondo, che per altro riprende Ciccio Mira quando nel finale, alla fine di “Belluscone”, pressato, pressato, pressato, è l’ultima immagine che si vede dopo i titoli di coda… Dice “beh ragazzi non seguite la mafia”.
E uno si aspetta chissà che cosa. E invece… “non seguite la mafia perché non c’è più la mafia di una volta”. Da qui ripartiamo e raccontiamo e in un anno raccontiamo se Falcone Borsellino, ovviamente simboli sono nella memoria eccetera, eccetera: che cosa è successo.
Dicci un po’ con chi hai lavorato in questo film, qui c’è Giuliano La Franca…
Allora, la sceneggiatura c’è come sempre, ormai da anni, Claudia Uzzo con me, poi Preziosi. Il gruppo è Franco Maresco, Claudia Uzzo, Giuliano La Franca, Ciccio Guttuso, questo è il gruppo indissolubile.
Che è anche Associazione Lumpen, quindi ricollegandoci al discorso di prima è tutto un discorso culturale a 360 gradi, oggi si direbbe 370 giustamente, c’è un po’ sovrapposizione…
Oggi qualcuno sovraccaricherebbe…
Perché le cose sono legate.
Cogli una cosa giusta, Gabriele. Ci tengo a dire, ti ringrazio per questa domanda. Ogni tanto le sinapsi…
Perché non è tanto per volersi differire. Ma perché sai quando dico “alzi la saracinesca”, caro Bonafede, non è un modo di dire. Cioè, noi sappiamo cosa abbiamo vissuto in questi anni.
Per noi è una ragione di vita. Cioè le scelte che questi ragazzi hanno fatto di seguire me anche Claudia, che con me lavora da 25 anni… Quando potrebbero fare altro, se non altro provarci, allora ti viene la rabbia.
E dici, ma perché Maresco è incazzato? Sono incazzato perché quando dall’altra parte non hai interlocutori e vedi anche la deriva del mondo generale, ma anche di questa città… Perché da questa città mi aspetto un gesto politico. Io vado a vedere “Ladri di biciclette” al De Seta perché è un fatto politico. Non me ne vado dove c’è lo schiticchio [da mangiare]. Non me ne vado dove c’è il passìo [la passeggiata]. Allora vedi che il pubblico non cresce. Ti fa male vedere una città che non comprende realmente…
Queste cose le hai sempre dette, per esempio, mi viene in mente subito il discorso del tuo documentario su Scaldati su questo argomento. Ne parliano?
Sì, ma voglio dirti, più esplicitamente, ai miei tempi, quando io ero ragazzo, se io scrivevo una lettera aperta, come abbiamo fatto io e Inzerillo del Queer Festival su Repubblica. Un paginone, dove si dice il bilancio culturale di questo anno cosa è stato, il 2018…
Noi sappiamo che è stato molto criticabile, ma per il cinema un disastro! Abbiamo parlato del De Seta. Nessuno risponde. Posso assicurarti che ai tempi di Ciancimino, Lima, di chi vuoi tu, per un fatto di forma chi era chiamato in causa in una lettera aperta rispondeva.
Ma soprattutto c’era la città che rispondeva, ai tempi di cui stiamo parlando Scaldati, eccetera, anni 70 e 80. Si rispondeva, c’erano i Perriera, gli intellettuali, grandi, piccoli… C’era una solidarietà. Si interveniva.
Noi abbiamo scritto una lettera, non c’è stata una sola chiamata nel mondo culturale […]. Non puoi dire solo la città in quanto istituzione politica. Sicuramente. Ma non senti più quella presenza, non senti quella forza, quel sostegno. Non esiste più. Questa è la realtà.
Scheda del film sul sito Venezia 76 qui in questo link.
Trailer ufficiale: