In un’Italia fratturata, cieca e scomposta, “Tiresia” ha saputo darci una visione per il futuro. E quelle parole che concludono “Il Re di Girgenti”
di Gabriele Bonafede
Non credo che oggi ci possa essere un solo italiano, in Italia e nel mondo, che non pianga la scomparsa di Andrea Camilleri. Compresi, se così si può dire, gli “avversari” politici.
Se c’era, e c’è, un uomo che raccoglieva e raccoglie la stima e l’ammirazione di tutti, compreso chiunque non ne condividesse le idee politiche, questo era e continua ad essere Andrea Camilleri.
La sua dipartita in qualche modo unisce tutti gli italiani nel lutto. Il lutto unisce un’Italia estremamente fratturata, divisa, in odio per bande.
Bande a volte drammaticamente armate, come riportano le notizie in alcuni casi. Sicuramente bande armate nelle parole, nelle invettive continue e terribili sui social e sui media.
Forse Camilleri, o chi per lui onnipotente, ci ha voluto dare un’opportunità. Quella di ritrovarci tutti gli italiani nel riconoscerci l’un l’altro, dalla Sicilia alle Alpi, e ben oltre. E non solo italiani: ritrovarci tutti gli europei, da Lampedusa a Capo Nord, ché Camilleri è unanimemente riconosciuto, ammirato, letto, ascoltato in tutta Europa e in tutto il mondo.
In un’Italia e un’Europa fratturate e scomposte, oggi più che mai, sembra di assistere a un miracolo epocale. Quello di chiamarci l’un l’altro, di dirci, almeno oggi e si spera ancora per molto, parole di comprensione, di tolleranza, di concessione alle altrui posizioni politiche, per quanto lontanissime. Quella di riconoscerci in un’amina umana comune a tutti.
Questa è l’eredità di Camilleri. Quella di riconoscere, pur in posizioni politiche avverse, un briciolo di umanità, di identità, di proposta di vivere comune rimanendo italiani umani e non italiani che odiano. Quella Italia, come in una delle sue ultime interviste, che rifugge e abiura l’odio e la guerra.
Tiresia ha voluto darci nella sua illuminate e lungimirante cecità, una visione per il futuro. Prima di tutti, quella della collaborazione, della condivisione, foss’anche nel riconoscerci in un doloroso ed epocale lutto.
Camilleri ha immaginato e descritto tante morti nei suoi scritti, di molte persone e personaggi. Ma ha anche descritto come immaginava la dipartita spirituale di ogni uomo in terra. Lo ha fatto ad esempio, nelle ultime parole di “Il Re di Girgenti”, che alcuni indicano come il suo romanzo preferito tra quelli firmati da lui stesso. È Zosimo, che infine lascia questo mondo, condannato ingiustamente, come un Cristo, come ogni Cristo che si chiama uomo, buono o cattivo che sia:
“Lesto, principiò ad acchianare lungo lo spaco e invece di provari stanchizza per la faticata a ogni bracciata, si sentiva cchiù leggiu e cchiù liberatu. A un certo punto si fermò e taliò verso terra. Vitti la piazza, le case con la gente supra i tetti, che accomenzava ad andarsene e in mezzo alla piazza vitti macari il palco e una cosa, una specie di sacco, che pinnuliava dalla forca dunnuliando. Rise. E ripigliò ad acchianare.”