Dopo un anno al governo, Casaleggio, Di Maio & C si agitano per la propria sopravvivenza. Dissanguati e in confusione
di Vincenzo Pino
Per un anno hanno fatto da donatori di sangue a Salvini ed ora come da narrazione di Fabrizio Ronconi sul Corriere della Sera i parlamentari cinque stelle sono ricomparsi, esangui, di martedì, e frettolosamente (fatto inusuale) a Montecitorio e Palazzo Madama.
Impauriti e depressi erano lì per consolarsi ed anche per consultarsi, ma senza farlo capire, su cosa fare di fronte all’eventualità della crisi di governo ed alla prospettiva di elezioni anticipate.
In prima fila c’era l’ampio drappello di quelli che hanno già fatto i “portavoce dei cittadini” per la seconda legislatura. E che ora dovrebbero tornare alle attività abbandonate nel 2013, se ne avessero.
Erano tutti lì, la gran parte dell’inner circle penta-stellato ad eccezione del furbo Di Battista che ha saltato per ora il secondo giro.
Ma anche quelli di prima nomina sembravano in preda alle convulsioni. Perché il timore di non essere rieletti è tantissimo viste le percentuali di voto di domenica che potrebbero dimezzarne la rappresentanza e perciò stesso la loro riconferma. Insomma, da Cinque Stelle sembrano diventati Cinque Arance.
L’alternativa sarebbe quella di tirare a campare per altri quattro anni, seguendo timing e contenuti dell’alleato trionfatore che ne ha rubato anche l’eloquio e la retorica. Rappresentandosi come l’espressione politica del popolo italiano, proprio come avevano fatto loro il 4 marzo dello scorso anno. Quando presentavano il governo ombra alla portineria di Mattarella già prima di votare, per poi così imporre Di Maio leader: “sovrano della terza Repubblica”.
Era la fase in cui trattavano i possibili alleati come “forni”, imperversavano sulle attribuzioni di Mattarella, in nome appunto della annunciata prima ed avvenuta poi “vittoria dei cittadini”.
Quasi un evento messianico allora, quello che ora celebra Salvini con tanto di rosario e di invocazioni ultraterrene. Che disdetta.
Ed allo scoccare dell’anno di governo, simbolicamente rappresentato dalla Festa della Repubblica, si ritrovano al contrario a pensare non più ai cittadini ma a sé stessi ed alla propria sopravvivenza.
Ognuno suona uno spartito a suo uso e consumo, sia Toninelli che Fico, polemizzando con toni da guerriero contro Salvini. Mentre Di Maio è costretto a derubricare questa dichiarazioni come “strettamente personali” cercando di mantenere il bon ton col competitor dopo averlo definito in queste ultime settimane come un difensore di inquisiti e rifondatore della tangentopoli.
Insomma siamo alla fine di un ciclo politico che si è esaurito nel giro di un solo anno specie per il “capo politico”. E sembrerebbe che l’imprimatur a questo esito l’abbia dato, secondo Tommaso Labate sul Corriere della Sera, il vero capo del Movimento Cinque Stelle Davide Casaleggio. Secondo cui proseguire in questa esperienza di governo, porterebbe alla dissoluzione del Movimento.
Meglio sacrificare Di Maio indicandolo come il principale capro espiatorio di questa sconfitta epocale. Contraddicendo quanto prima aveva sentenziato il suo “sacro” blog che lo aveva riconfermato all’80%. Perché come abbiamo visto tutta la sacralità è passata rapidamente di mano e si affida non più ad ampolle o a riti nordici ma ai ben radicati santi di casa nostra.
Se Di Maio aveva invitato Salvini a mettere sul tavolo la foto di Renzi per ricordare il noto adagio “sic transit gloria mundi” ora farebbe bene a farne una collezione lui. Visto che il “senatore fiorentino” ha guidato un governo per mille giorni, e non la Lamborghini da fake.
Mentre lui, Di Mao, si è fatto fregare il volante dalle mani nel giro di un mese quando consentì a Salvini di agire come “comandante in capo assoluto” delle infrastrutture, degli esteri, della difesa e della giustizia, nelle vicende Aquarius e Diciotti.
Ed in nome di questa investitura lo salvò qualche mese dopo dal procedimento giudiziario, assumendosene la corresponsabilità. Rendendolo quasi un “intoccabile” per diritto “extra legem“.
Fu in quella occasione che il noto manettaro Giarrusso, relatore in commissione e deciso sostenitore della intangibilità di Salvini, provocò i parlamentari democratici che protestavano di fronte la Parlamento, col gesto delle manette. Per indicare e ricordare il provvedimento degli arresti domiciliari del padre di Renzi, poi revocati.
Era la celebrazione della doppia giustizia. Quella manettara con la gente comune e quella super-garantista con la casta lega-stella. Da un lato, un ultrasettantenne veniva privato della libertà, dall’altro Salvini veniva sottratto alla giustzia. Perché i reati “fatti per l’interesse del popolo“, secondo la “finezza giuridica” del ministro Bonafede, non potevano essere perseguiti…
Ma è stata l’ultima sortita mediatica di questa compagnia di scappati di casa, di queste cinque arance. Che da allora hanno ceduto lo scettro a Salvini ed ora si ritrovano esangui, svuotati di plasma dal Conte di Transilvania. Ormai è un rimestare e fuggire al grido di “si salvini chi può”.
Avessero un sussulto di dignità e di reattività dovrebbero precipitarsi nei seggi dove si vota per i ballottaggi domenica e votare i candidati che sno contro la Lega e così limitare i successi dell’alleato vampiro.
Lo faranno? Forse chiedere uno sforzo di comprensione e di razionalità ai cinque stelle sembra un esercizio vano, specie ora che sono in delirio di paura.