di Pasquale Hamel
Dopo la infelice conclusione della rivoluzione del 1848, alcuni dei protagonisti per sottrarsi alla cattura si rifugiarono a Malta, allora territorio sotto la sovranità britannica. Nel corso dell’esilio maltese, con il beneplacito delle autorità britanniche, alcuni degli esiliati diedero vita ad un Comitato Rivoluzionario influenzato dalle dottrine mazziniane il cui obiettivo era quello di riprendere la bandiera costituzionale e, quando le condizioni si fossero rivelate favorevoli, di riprendere la lotta contro il regime borbonico.
Proprio quel Comitato, nella primavera del 1854 immaginò che fosse arrivato il momento per passare all’azione. Per questo motivo furono inviati in avanscoperta, per avere un quadro preciso della situazione, il colonnello Giovanni Interdonato, comandante della Colonna esuli messinesi che si era particolarmente distinto nel corso della rivoluzione del 1848, e il capitano Giuseppe Scarperia.
Nella notte del 24 maggio i due cospiratori raggiunsero la costa messinese e presero terra presso Mena, un villaggio sulla foce del fiume Fiumedinisi. Da lì raggiunsero la casa paterna del colonnello, che si trovava a poca distanza dal luogo dello sbarco, nascondendosi in attesa del momento favorevole all’azione.
La notte del 28 maggio, quando già si preparavano ad abbandonare il rifugio, la gendarmeria borbonica, sicuramente informata da qualche spia, circondò la casa e aprì il fuoco sparando all’impazzata. La situazione apparve disperata ma, nonostante tutto, i cospiratori ai quali si era unito il marchesino Pietro Mauro, un ardimentoso ragazzo di appena diciassette anni che era nipote dell’Interdonato, riuscirono a scappare rifugiandosi nella fattoria Castrorao nella vallata dell’Alcantara.
La gendarmeria borbonica per alcuni giorni li cercò senza alcun risultato fino a quando, abusando dei suoi poteri, il comandante non decise di imprigionare la famiglia del colonnello Interdonato ponendo, come condizione per la liberazione degli arrestati, che i tre si arrendessero e si consegnassero ai gendarmi.
Nonostante rischiassero la pena capitale, come peraltro era capitato ad altri congiurati, i tre cospiratori si arresero e si consegnarono alle autorità borboniche. I prigionieri furono tradotti a Messina dove vennero sottoposti al giudizio della Gran corte criminale che emise un verdetto di condanna a pene detentive.
Al colonnello Interdonato e al capitano Scarperia la Corte irrogò la pena di trenta mesi di reclusione mentre per il giovane Mauro la pena fu di 24 mesi.
Pasquale Calvi, commentando ifatti del maggio 1854, di Giovanni Interdonato ebbe a scrivere “illustre al pari di Garibaldi per virtù, coraggio e patriottismo, sventurato e generoso quanto il fratelli Bandiera”.
Per la cronaca, Interdonato, condivise l’avventura garibaldina del 1860 e la colonna da lui comandata precedette di un giorno l’ingresso di Garibaldi a Messina .
Altra curiosità, Giovanni Interdonato è oggi ricordato molto più per il limone che inventò, una volta raggiunta l’Unità d’Italia e dedicatosi all’agricoltura: il limone Interdonato, incrocio tra un cedro e l’ ariddaru, un limone locale. Ne parla anche Mario Pintagro in un gustoso articolo su Repubblica del 2008. Qui il link.
In copertina, Garibaldi entra a Messina, litografia del 1861 di pubblico dominio, tratta da Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Perrin_C._lith._-_Entrata_di_Garibaldi_in_Messina_-_litografia_-_1861.jpg
Foto nel testo del Colonnello Interdonato, tratta da questo articolo dal blog di Angela Santoro
A proposito del limone Interdonato, ecco un video interessante: