di Gabriele Bonafede
È facile parlare con il senno di poi. Ma lo avevamo detto molto tempo fa: il Pd sarebbe comunque stato determinante nell’elezione del sindaco di Palermo e avrebbe fatto bene a presentare una propria lista con un proprio candidato. Per molti, moltissimi motivi.
Per quanto difficile riunire le diverse anime che compongono il maggiore partito italiano, soprattutto a Palermo dove personalismi e liti sono molto di moda, la presentazione di una lista con simbolo e candidato avrebbe portato molti vantaggi al partito guidato da Renzi.
Lo dicono già i numeri. Ma ancor più lo dice la geografia politica particolarissima del Pd di Palermo in rapporto a variopinte liste presentate, candidati, preferenze e altro.
Ed è così anche dal punto di vista della pura matematica, pur scontata dall’alea della politica. La lista del “Pd mainstream” Democratici e Popolari, che ha sostenuto Leoluca Orlando senza simbolo e insieme ad “Alternativa Popolare”, ha infatti ottenuto oltre 20.000 voti e l’8,6%. Senza questo 8,6% Orlando avrebbe dovuto affrontare il ballottaggio, visto che ha ottenuto il 46,3% dei consensi.
Considerando che almeno tre quarti dei voti per questa lista sono stati espressi da elettori molto vicini al Pd “mainstream”, anche un Pd debole e diviso avrebbe ottenuto da solo almeno il 6%, e sarebbe comunque risultato determinante. È palese che, non annacquato da Alternativa Popolare, il Pd avrebbe raccolto molto di più, anche tra chi non ha votato.
Vanno aggiunte altre considerazioni. Innanzitutto, nella lista Coraggiosi e persino in Palermo 2022 c’erano candidati, e ci sono stati molti elettori, con una storia di centro-sinistra e per lo meno simpatizzanti del Pd. Una parte consistente di questi voti sarebbe andata certamente a una lista Pd con un candidato proprio. Raggiungendo almeno il 10% dei consensi nella peggiore delle ipotesi. Diventando ancora più determinante al secondo turno. Posto, ovviamente, che ci fosse stato un progetto politico, un programma, una linea coerente, una politica e un superamento di divisioni e personalismi ormai sotto gli occhi di tutti.
A questo vanno aggiunti i molti voti di simpatizzanti Pd confluiti in altre liste (compresi persino i 5 stelle) o che non sono andati a votare. Oppure che hanno votato scheda bianca o nulla. Il che spiega una parte della grande astensione dal seggio (47%) e del grande numero di schede nulle e bianche, che arriverebbe a superare il 7%.
D’altronde, alle ultime primarie Pd, i votanti, ovvero i soli militanti e simpatizzanti disposti anche a pagare 2 euro (e il proprio tempo) pur di scegliere un candidato di centro-sinistra, erano stati oltre 30.000. Un patrimonio di voti che rappresenterebbe il 13% dell’elettorato accorso alle urne la scorsa domenica.
Ma c’è di più. Nel marasma dell’antipolitica, nell’autodistruzione di diverse formazioni (dalla sinistra al centro e alla destra) pur di andare appresso a questo o a quel candidato, ci sarebbe stato un forte bonus di coerenza, visibilità, dignità, idee, programma, e tanto altro.
E ci sarebbe stato anche un altro bonus, molto più grande, se solo il Pd avesse accettato di rinnovarsi e fosse guidato in maniera decente a livello cittadino e regionale. E cioè il coraggio di rinnovare la propria classe dirigente, a partire dalla scelta del candidato sindaco tra le proprie fila e dei candidati di lista, partecipando quanto più possibile i cittadini, anche quelli con orientamenti diversi.
Un candidato a sindaco del Pd, anche se avesse raccolto poco, sarebbe stato lanciato/a nell’agone politico a un livello di primo piano. D’altronde, Ferrandelli quale politico è stato lanciato proprio dal Pd in quanto candidato a sindaco di Palermo nel 2012. Pur perdente, fu poi eletto anche alla Regione.
In politica, tutto è relativo. Ma considerando il particolare clima nella quale si è svolata la campagna elettorale, un minimo di coerenza e orgoglio di partito, avrebbe probabilmente portato il Pd a superare di molto la soglia del 10%, arrivando forse anche al 15-18%, rivaleggiando dunque con i 5 stelle quale primo partito in città.
Va fatta una riflessione profonda. A partire dalla coerenza: il Pd, fino a poche settimane prima della campagna elettorale, ha svolto un’azione d’opposizione al sindaco uscente. Tornare poi a sostenerlo con un’inversione a U non è stata una cosa così coerente. E queste cose si pagano. Una lista Pd avrebbe avuto molte più chance di raccogliere un elettorato anche più grande, chissà, magari puntando a un 20%. Sicuramente avrebbe determinato un secondo turno.
Va detto anche che, adesso, i consiglieri del Pd a Sala delle Lapidi (il Consiglio Comunale di Palermo) sono pochini: solo quattro. Si tratta di un gruppo molto piccolo e diviso, espressione di 3-4 correnti diverse. Superstiti di numerose bocciature disperse nelle varie liste in cui il Pd si è praticamente sciolto.
Ricapitolando, con una lista Pd e un candidato o una candidata propria avrebbe realizzato i seguenti vantaggi, ognuno dei quali sarebbe stato sufficiente e di pari dignità per scegliere questa strada: a) Una maggiore coerenza, dignità e visibilità, b) Essere determinanti nell’elezione del sindaco, c) Avere ottime chance d’essere il maggiore partito a Palermo, d) Portare più consiglieri Pd a Sala delle Lapidi, e) Lanciare nuovi, possibilmente giovani, esponenti della classe dirigente di centro-sinistra, f) Incidere maggiormente con le proprie idee i propri programmi nel governo della quinta città d’Italia, g) Non disperdere il patrimonio elettorale e di idee, h) Lavorare in un progetto a medio-lungo termine, influendo realmente nella gestione della città di Palermo.
E scusate se è poco.
Invece, la spaventosa e risibile dirigenza del Pd in città e alla regione ha deciso di andare incontro al disastro, accettando il bel cavallo di Troja offerto da Orlando. Complimenti. Tutto da rifare.