di Anna Fici
Palermo, 23 maggio 2017 , anniversario 25 Falcone. Ahimè. Prendi la promessa delle imminenti vacanze… E prendi che se vieni in Sicilia con la nave e sbarchi sotto il sole, con un mare “sperluccicante”, con i tuoi compagni ed anche con la compagna che ti piace tanto, quella promessa sembra più vera e più prossima.
Prendi che da subito ti metti a giocare a pallone, nel grande spiazzo del porto. Prendi che pensi di essertelo guadagnato quello svago, perché Falcone e Borsellino “li hai proprio studiati” e hai fatto tuoi pensieri “giusti” e frasi adatte ad esprimerli.
Falcone e Borsellino, promessa dell’estate, come il World Festival on the Beach di Mondello? Il rischio c’è.
E la manifestazione a cui ho assistito lo ha manifestato tutto, questo rischio. Selfie con bastone apposito davanti all’albero Falcone o in via D’Amelio… urla per l’ospite di grido sul palco e Don Ciotti applaudito d’ufficio perché a scuola gli hanno spiegato chi sono i buoni e chi i cattivi.
Canzoni di scolaresche stonate in un pietoso karaoke del buonismo. Non partecipavo da anni alle manifestazioni organizzate per questo anniversario.
E malgrado la numerosissima partecipazione, non ho trovato neanche l’ombra delle vibrazioni emotive che il big bang delle stragi aveva prodotto nella società civile.
Per i giovani Falcone è un capitolo, un argomento, di una storia contemporanea a cui i programmi non arrivano mai e che rimane quindi un’informazione ancorata al nulla. Per i meno giovani è un rito, svuotato di ogni significato dai venticinque anni di Italia appena trascorsi, che hanno scavato da dentro la speranza oggi sottile come una pellicola d’uovo sodo.
Il ricatto del precariato e il bisogno di occupazione fanno sì che l’unico vero inno in cui potremmo ritrovarci è il “Povera patria” di Battiato, sobriamente cantato da Fiorella Mannoia all’albero Falcone. “Calati juncu chi passa la china”: un giorno ci pieghiamo per necessità, un altro ci protendiamo verso l’alto, purtroppo solo verso un palco, per applaudire.
La società dello spettacolo è la catarsi che produce acquietamento e impedisce la rivoluzione. E Guy Debord ci si è ucciso! Dopo l’evento. Il tran tran, il nulla.
Prima dell’evento, per l’esattezza il giorno prima, facendo un giro fotografico per le locations mi sono imbattuta in una signora incinta, quasi prossima al parto. Che usciva da uno dei palazzi della via D’Amelio, attraversando il cantiere aperto dei preparativi. Mi sono chiesta come ci si possa sentire in quella condizione proprio lì.
E basta. Auguri… Non si dice così agli anniversari?
In copertina e nel testo, foto di Anna Fici. Tutti i diritti riservati.