di Pasquale Hamel
“Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!” Da “Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello.
Sicuramente Ciccu Pisciotta non sapeva di queste frasi del suo illustre compaesano Luigi Pirandello, ma le sue invettive, gridate da sopra un panchetto sul quale montava all’abbisogna davanti al caffè Castiglione per i suoi proclami, ne interpretavano la sostanza. La folla che gli si radunava attorno, ascoltandolo in religioso silenzio, si sentiva sbattere in faccia la verità e ne sorrideva. Un pazzo ha infatti licenza di dire tutto quel che vuole senza altro rischio che trovarsi, almeno allora accadeva, internato in quei lager che chiamavano manicomi.
Di Ciccu Pisciotta, alto, precocemente calvo e dagli occhi spiritati, si ricordano tanti comizi “strambalati” intercalati da ritornelli allusivi ma qui ne voglio ricordare uno che ripeté più volte, un suo cavallo di battaglia. Fu il suo primo comizio, dopo che aveva lasciato, o era stato cacciato, dal suo lavoro di sagrestano della Chiesa madre di Porto Empedocle.
Quella chiesa dedicata alla Madonna del Buon Consiglio non è molto antica. Risale ai primi del secolo passato, con la facciata in tufo giallo, e fa da imponente quinta alla via principale del Paese. Si trova proprio accanto al palazzo di città che, più o meno, è dello stesso periodo, tanto che nelle sue linee architettoniche ne richiama lo stile. Quella chiesa ha visto molte delle storie di Porto Empedocle e nessuno dei suoi abitanti potrebbe dire di non esservi mai entrato.
Come è capitato per tante chiese erette nel passato negli antichi abitati siciliani, doveva tutto alla munificenza di un sant’uomo: don Sarino Marullo, lontano parente di mia moglie che aveva preferito la tonaca ai ricchi commerci che la sua nobile famiglia gestiva con successo. Don Sarino, che impegnò in quell’opera molte delle sue risorse economiche, oggi vi riposa in una semplice cappella decorata di bei marmi e segnata dal busto del grande benefattore.
In questi oltre cent’anni di storia di quella chiesa madre si sono alternati come titolari appena cinque arcipreti e qualcuno, nel bene o nel male, con grande personalità. Tanto da incidere, spesso coinvolto in varie vicissitudini, in modo forte sul corso della politica locale. Di questi, sui quali ci potrebbe essere molto da raccontare, non parlerò. Invece racconterò di uno di quelli che, forse sbagliando considerate le storie che giornalmente si leggono su certi preti, aveva capito che seguire la vocazione sacerdotale significava solo rendere servizio alla comunità e a Dio.
Si trattava di don Luigi Castiglione, venuto da Casteltermini, paese di contadini e di minatori, che nell’ottocento aveva goduto di una certa prosperità e che, soprattutto, aveva mostrato molta sensibilità per le vicende politiche di quel tempo. La fama che l’accompagnava era di avere una certa esperienza e di essere un buon uomo premessa perché fosse un buon pastore.
Don Luigi corrispose alla fama che l’accompagnava, vita modesta, attenzione alla povera gente, sostegno a quanti lo chiedevano e puntuale osservanza del suo ministero senza mai sottrarsi al suo impegno anche nelle situazioni più difficili. Tutto bene, tranne un problema che, col tempo e l’età che avanzava, si andava sempre più aggravando.
Don Luigi era, infatti, affetto da narcolessia, quella che comunemente e volgarmente veniva chiamata “malattia del sonno”. Accadeva spesso che quando meno ce lo si aspettava, cadeva in sonno profondo con i risultati che si possono immaginare. La sonnolenza arrivava soprattutto quando officiava i sacri servizi. Dapprima gli capitava quando era impegnato a recitare salmi o preghiere e, vista la ripetitività delle stesse, ci poteva anche stare. In seguito mentre diceva Messa. Qualche volta capitava che al momento dell’elevazione, il suo corpo lentamente si afflosciasse tanto che e se non fosse intervenuto il fedelissimo e robusto sacrestano Cicco Pisciotta, sarebbe certamente rovinato a terra portandosi dietro calici e patene con i quali stava armeggiando.
Il ripetersi di quegli episodi aveva fatto della Messa grande, quella delle 12,00 di Domenica che per tradizione veniva officiata dall’arciprete, un evento che attirava gente da tutta la provincia. Si era arrivati perfino alle scommesse sul momento in cui il buon don Luigi sarebbe caduto fra le braccia di Morfeo. Non tutti però si limitavano a sorriderne: c’era chi invece pensava solo ad approfittare della situazione per liquidarlo. Si diceva che fosse soprattutto qualche ausiliario che stesse da tempo tessendo trame oscure per prenderne il posto. Di queste trame il giovane sacrestano era al corrente e cercava di mettere in guardia il sant’uomo che, tuttavia, degli allarmi non sembrava curarsene visto che vedeva in tutti il lato buono piuttosto che quello cattivo.
Sta di fatto che alla curia, dove venivano fatte arrivare voci malevole, le condizioni dell’arciprete empedoclino, pare, fossero divenute ormai un problema da risolvere con un provvedimento di rimozione. Un provvedimento grave sul quale il vescovo esitava. Tanto che, prima di prendere la decisione, volle che una certa tal domenica alla Messa di don Luigi assistessero, mischiati alla folla dei fedeli, due suoi osservatori per vedere fino a qual punto la situazione fosse sostenibile o meno.
Ciccu Pisciotta, sempre vigile e attento, abusando della pazienza dell’arciprete gli raccontò, per filo e per segno, cosa sarebbe accaduto quella fatidica domenica che veniva. Ad ascoltare quel racconto Don Luigi, che oltre ad essere un buon uomo aveva grande ingenuità, cadde in profonda prostrazione. Non sapeva proprio che fare. Alla domanda ch’egli si poneva non trovava infatti risposta, tanto che aveva deciso di anticipare i tempi e di rimettere il suo incarico nelle mani del vescovo.
Non fu d’accordo il sacrestano, che lo supplicò di resistere per non darla vinta a chi gli voleva male. E a quelle perorazioni aggiunse un modo per superare il problema: per tutta la durata del rito Ciccu Pisciotta gli sarebbe stato accanto e al primo accenno di abbandono al sonno dell’arciprete, l’avrebbe pizzicato facendolo ritornare lucido.
Così avvenne. Per tutta la celebrazione Cicco Pisciotta non fece mancare il suo aiuto, tanto che alla fine della Messa, don Luigi si ritrovò il braccio nero e dolorante. Ma che importava, era il risultato a contare ed in effetti era riuscito a rimanere sveglio per tutto il lunghissimo rito domenicale sventando le brutte manovre che si ordivano a suo danno. Ma proprio lo scampato pericolo, potremmo dire il momento della vittoria, convinse il povero prete che le sue condizioni non gli permettevano più di continuare. Avrebbe dunque lasciato quella Chiesa alla quale era affezionato.
A piangerne il ritiro fu soprattutto Cicco Pisciotta che, forse anche per questo motivo, non ci stette più con la testa. E così, ormai disoccupato, facendo il pazzo su quel panchetto improvvisato davanti al caffè Castiglione, con un vocione tenorile cominciò i suoi pubblici comizi gridando senza ritegno a colui che, a suo dire, aveva ordito il complotto contro il suo amato don Luigi: “l’arcipreti Castigliuni, sant’omo era ma chistu d’ora, pi’ carità, unnu’ sacciu propriu”.