di Francesco Lo Cascio
La tragedia che si consuma quotidianamente nel Mediterraneo non può che interrogarci gravemente come uomini e come nonviolenti. È un’ecatombe di tali proporzioni, che non lascia spazio ad inutili sofismi e intellettualismi fuori luogo.
L’unico spazio umano possibile è l’azione, qui e ora. Questo è l’imperativo cui ha obbedito Klaus Vogel, nel decidere che il suo posto di comandante, con anni di esperienza nella marina mercantile, era di buttarsi anima e corpo nell’impresa “impossibile” di lanciare un progetto civile di salvataggio delle vittime della tratta, degli uomini e delle donne oggi inghiottiti, non tanto dal mare, quanto dall’abisso degli egoismi dei governanti europei, dagli interessi dei trafficanti e dalla speculazione dei politicanti, che ancora una volta fomentano odio e paura nelle masse.
Cari amici, il luogo dove praticare la nonviolenza è in mezzo alla conflagrazione dei conflitti, il luogo proprio della nonviolenza non è negli studi e nelle biblioteche, nelle redazioni o davanti una tastiera di PC, nei monasteri, nel tranquillo ritiro delle cascine della campagna italiana. Il luogo a noi proprio è nel mezzo del conflitto, nel luogo su cui sparano tutti.
Questa è stata la scelta dei Volontari di Pace in Medio Oriente negli anni ’90, con Alberto L’Abate, Silvano Tartarini ed Alfonso Navarra[1], poi dei Christian Peace Team (CPT). Questo è il luogo dove viene esercitata l’interposizione nonviolenta o l’accompagnamento umanitario dell’Ifor in Colombia, o delle Peace Brigade International (PBI), o di Nonviolent Peace Force.
Nel Mediterraneo questo luogo è oggi al largo di Lampedusa, in acque internazionali, davanti la Libia[2], divisa ed in guerra, davanti i 200 km di sponde oggi occupate dall’ISIS [3].
Per questo, a partire da Palermo, abbiamo scelto di sostenere il progetto di SOS Mediterranée, dando così attuazione alle ultime deliberazioni dell’assemblea nazionale del MIR[3], svolta nello scorso mese di luglio a Palermo, che ha scelto di riorientare a sud la propria scelta nonviolenta, individuando nel Mediterraneo il baricentro dei conflitti e, di conseguenza, del proprio interesse ed azione.
La centralità dell’intervento nell’isola di Lampedusa è anche attestata dalla prima visita “fuori le mura” di Papa Francesco che, appena eletto, lì si è recato per rendere tributo alle vittime della tratta di esseri umani e per riconoscere l’impegno nella solidarietà da parte della chiesa locale. È attestato anche dalla scelta della Federazione delle Chiese Evangeliche (FCEI) di avviare il progetto Mediterranean Hope nell’isola e con ulteriori interventi in Sicilia.
Il Nostro interesse verso l’esperienza di SOS Mediterranée è motivato soprattutto dall’alternativa all’approccio militare nella gestione del fenomeno dell’immigrazione. Non dobbiamo fronteggiare un nemico o una minaccia ai nostri interessi, siamo piuttosto tenuti ad esercitare il dovere di assistenza umanitaria.
Il pretesto di egoismi, odii e paura, giustifica un dispendioso apparato bellico che, col pretesto “umanitario” si schiera in funzione aggressiva verso i paesi del Maghreb. Le operazioni Frontex e Sophia[4], sono unicamente finalizzate al controllo dei confini e rifiutano di recare aiuto là dove serve, a ridosso delle acque territoriali libiche. Questo è il ruolo possibile per le ONG.
La Guardia Costiera tende a favorire il rapporto con le ONG civili, spesso in conflitto con le strutture e gli interessi militari. Su questa contraddizione è possibile agire, sostenendo l’operato delle ONG SOS Mediterranée, Médecins du Monde, Sea Watch, MSF [5], MOAS, operazioni che –concretamente – già salvano un quarto delle persone salvate in mare.
È unicamente un’azione umanitaria, scevra da risvolti nonviolenti? Non direi. Fa parte della storia della nonviolenza il rischioso salvataggio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, qualsiasi nonviolento teorico sa citare il caso storico del salvataggio degli ebrei danesi quale dimostrazione della praticabilità dell’azione nonviolenta, anche di fronte il Terzo Reich.
Il MIR, durante la guerra, conosce l’opera del pastore André Trocmé, fondatore del MIR francese e la storia del College Cévenol. A Firenze l’opera di soccorso degli ebrei da parte di Tullio Vinay, fondatore del MIR italiano. In linea con questa tradizione siamo dunque chiamati all’azione.
Gene Sharp, nel ’74 ha studiato l’esperienza nonviolenta dei Brother to Rescue cubani (cit. Swartmore College Peace Collection). Anche su Trascend Media Service di Johan Galtung, troviamo citati gli articoli in materia, tratti dal the Guardian. Senza dimenticare la quantità di inchiostro versato negli anni ’80, sul tema del nesso tra protezione civile e Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) ed i relativi convegni e campi.
Azioni quali quella di SOS Mediterranée sono quindi un utile tassello in una logica di transarmo verso un’ alternativa ai modelli militari, verso una transizione ad una Civil Based Defence [6]( Sharp). L’azione di Search and Rescue (SAR) trova quindi pieno spazio nel repertorio delle tecniche della nonviolenza, soprattutto se, come in questo caso, viene condotta nonostante politiche governative di segno opposto.
Tra le varie tecniche d’intervento nonviolento nei conflitti, non dobbiamo dimenticare in oltre le forme di diplomazia preventiva, le ambasciate di Pace, e gli stessi Corpi Civili di Pace[7] , che avrebbero poca efficacia e futuro se scollegati da una complessiva strategia e politica di Pace, verso il complesso scacchiere Mediterraneo, di cui l’Italia è uno dei tasselli che lo compongono.
Quali possono essere quindi le nostre forme di sostegno alla campagna di SOS Mediterranée?
1. Intanto cogliere l’intuizione della dimensione europea ed internazionale dell’iniziativa di SOS Mediterranée. Anche il MIR, con l’IFOR, condivide questa dimensione, ed è partner di “Medecins du Monde” in Colombia, nei progetti di accompagnamento della Comunidad de Paz de San José de Apartadó. Parimenti è importante percepirci come antenna mediterranea della rete internazionale dell’IFOR, cui rivolgere gli appelli al coinvolgimento, alla solidarietà. E al sostegno, anche economico;
2. quindi valorizzare il ruolo peculiare del MIR e dell’IFOR, la propria scelta religiosa, ecumenica ed interreligiosa. Dimensione che ci consente di operare per il coinvolgimento di una più vasta rete di contatti, realizzando quello che in Amnesty International verrebbe considerato un “target sector”. Coinvolgendo le Chiese, l’episcopato e le singole parrocchie, i movimenti laicali, gli scouts, i religiosi e i missionari, è un importante contributo che altri non potrebbero svolgere;
3. poi la relazione con la società civile organizzata e con gli enti locali per la Pace ed i Diritti Umani. Il MIR è coinvolto in diverse reti e networks, nazionali e locali, in questo ambito potremmo svolgere un’azione preziosa per il reperimento di risorse umane, materiali ed immateriali;
4. e ancora, possiamo ripensare ad alcune iniziative del nostro recente passato, possiamo imparare dalla nostra vecchia campagna per l’obiezione alle spese militari (OSM)?
Riprendere contatto con chi continua a portare avanti questa campagna? Magari ripensandola nelle forme e negli strumenti? Certo che se oggi l’obiettivo è quello di trovare 200.000€, per coprire un costo giornaliero di 11.000€ per poter salvare fino a 500 vite umane in una singola operazione, l’obiettivo può sembrare elevato , ma se una vita umana viene quindi salvata con circa 20€, allora la quota di spese militari che vengono prelevate da uno stipendio medio, potrebbero salvare una famiglia di 5-6 persone. Allora perché non tornare a rivendicare, nei fatti, il diritto di opzione fiscale, tra la “difesa” militare ed il concreto impegno di Difesa Civile, posto già in essere dalle ONG che operano, già oggi, per le azioni di Search and Rescue (SAR)?
5. Infine, perché non legare all’azione di SAR il progetto dei Corpi civili di Pace? Magari senza aspettare la chimera di un intervento finanziario statale, ma anticipandolo con l’azione dei Caschi Bianchi[8], già posti in essere dalla associazione Papa Giovanni XXIII e dalla Caritas, magari collegandoci ai già esistenti progetti dei CPT e di Mediterranean Hope.
Articolo inizialmente pubblicato con il titolo SOS Mediterranée e Nonviolenza su https://riconciliazione.wordpress.com/2016/02/29/sos-mediterranee-e-nonviolenza/ e gentilmente concesso dall’autore. Le NOTE: [1], [2],… sono riportate nell’articolo originario.