di Pasquale Hamel
La nostra terra, bella, anzi, bellissima, purtroppo soffre, oltre che del “traffico”, di una male ahimè cronico che, nonostante lo sforzo di tante persone perbene, continua a causare vittime e deturparne il volto. Per chi non conosce a fondo il cinema, mi pare chiaro che il riferimento è alla mafia e alla sua leggenda nera. Porto Empedocle, per qualche tempo eccezione miracolosa, nella sua storia è stata appena sfiorata da questa maledizione almeno fino a quando, negli anni sessanta-settanta l’arrivo di gente proveniente da centri ad alta densità mafiosa, ne ha mutato radicalmente il clima ponendola per i fatti accaduti al centro dell’attenzione nazionale.
Una scia di sangue ha, infatti, lordato le strade cittadine e sopraffazioni e “pizzo” sono divenuti fatti della sua quotidianità. Nella sfida fra vecchia mafia e “stidda” i morti si sono contati a decine e la paura della gente è cresciuta in modo esponenziale. Intanto della cittadina borghese, la cornice dei paradossi pirandelliani, fatta di gente tutta dedita al lavoro e con uno sguardo più ampio rispetto a quanti abitavano nell’entroterra e, perfino, nel capoluogo, anche a causa della crisi del modello economico che ne aveva favorito prosperità, era rimasto poco e quel poco soffriva ora l’assalto di mafiosi e “stiddari” in violenta competizione fra loro per assicurarsi la triste supremazia nel crimine.
Lo “stile Chicago”, quello per intenderci che ha fatto la famigerata notorietà di Al Capone, era stata adottata dai capetti locali che non si facevano scrupolo di usare le loro armi contro gli avversari senza curarsi del fatto che sulla traiettoria dei loro proiettili potesse trovarsi gente onesta e perbene. Altro che le pallottole vaganti, di cui si diceva negli anni del sacco di Palermo, qui l’errore-orrore era messo in consapevole conto e di quell’errore-orrore i delinquenti non se ne fregavano più di tanto.
Di queste stragi ne ricordo una, in particolare, perché si consumò pochi minuti prima che con la mia famiglia arrivassimo sul luogo e perché una delle vittime innocenti fu un vecchio amico di mio padre. Quella più famigerata il 21 settembre del 1986. Per raccontarla meglio mi servo qui di quanto scrive un amico, il bravo giornalista Alfonso Bugea nel suo libro inchiesta “Cosa muta”, del quale colgo richiamo e ammonimento a non dimenticare perché, proprio l’oblio della memoria, è quanto di peggio possa accadere a chi è stato vittima innocente di un’ingiusta violenza.
Era una domenica di fine settembre e le prime ombre della sera oscuravano il cielo; il tempo era ancora mite come lo è per gran parte di settembre nella nostra terra. I tavoli collocati all’aperto dei caffè del paese erano come al solito affollati. Di quelli del caffè Albanese, che si affacciava sulla via principale del Paese, uno era occupato dall’amico di papà, Antonio Monreale, un onesto pensionato che dopo una lunga vedovanza trascorsa nel culto della moglie e a sostegno della famiglia, per sfuggire alla solitudine della vecchiaia, aveva alla fine deciso di sposarsi con una donna che, come si diceva da noi per tutti quelli che abitavano al di là del confine dell’ex Regno delle due Sicilie, veniva dal nord. Proprio con la sposina, quel giorno tragico, il pensionato si godeva il fresco del tardo pomeriggio e una coppa di gelato orgoglio di quel caffè.
A pochi metri, purtroppo per loro, stavano comodamente seduti anche Giuseppe Grassonelli, il patriarca della “stidda”, e il figlio Gigi. Quest’ultimo il presunto protagonista di precedenti mattanze rimaste impunite e per questo molto temuto dalla gente che lo giudicava una sanguinario senza freni. C’erano pure Salvatore Tuttolomondo e Giovanni Mallia, due guardaspalle dei boss, e più riparati i due fratelli di Gigi. Tutto nell’ordinaria quotidianità, nessuno avrebbe infatti immaginato che, di lì a poco, si sarebbe scatenato l’inferno.
All’improvviso, un rumore di un’automobile che arrivava e le luci del paese che si spengnevano. Un black-out improvviso, come spesso capitava. Pochi si accorsero di che cosa stesse accadendo, sta il fatto che da quell’auto scesero tanti uomini armati e subito fu fuoco contro i loro obiettivi. Ci volle qualche secondo perché la gente cogliesse il senso di ciò che accadeva, poi una bolgia infernale mentre la gente ora scappava cercando riparo, si rifugiava nei portoni, si stendeva a terra, si nascondeva dietro gli alberi e intanto le mitragliette vomitavano proiettili senza risparmio. L’assalto non durò più di tanto, ma sembrò un tempo lunghissimo.
Poi, così come erano arrivati, i killer si infilarono nell’auto che sgommando abbandonò il luogo della strage. Proprio in quel momento, il che non può che indurre a qualche sospetto, le luci si riaccesero per mostrare lo spettacolo atroce della strage.
Il vecchio Grassonelli, meglio conosciuto come “cascitedda”, raggiunto dai colpi di mitraglietta, giaceva a terra in una pozza di sangue e con lui anche il terribile Gigi, che aveva cercato di sfuggire alla morte scappando, e i due guardaspalle. Si salvarono, miracolosamente i due fratelli.
Ma a pochi passi c’era anche il corpo del pensionato Monreale la cui moglie inorridita non riusciva a capacitarsi di quanto era accaduto. Poco più in là giaceva il corpo del bravo Filippo Gebbia, un giovane onesto, religiosissimo che, finalmente, era riuscito a trovare, ed anche allora era una ricerca difficile, quel lavoro che gli avrebbe permesso di coronare il suo sogno d’amore.
Era stato raggiunto dai colpi che avevano spezzato la sua giovane vita, mentre soddisfatto, dopo avere passeggiato per via Roma stringendo la mano della fidanzatina, entrava nel bar per ordinare un gelato e festeggiare la futura nuova vita. Una fine immeritata e orrenda che per lui, ironia della sorte, ebbe anche una coda, qualche voce malevola, ampiamente smentita, lo indicava come bersaglio non casuale.
Foto in copertina di Ansa, tratta da http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2014/08/23/ansa-libri-malerba-mafioso-racconta-la-sua-vita-da-killer_6ff7df74-d05f-417f-826c-13ebcbc85edf.html dove si parla del libro “La Malerba” La storia di Giuseppe Grassonelli scritta con Carmelo Sardo per Mondadori.
Nel canale youtube Pietro Fattori è possibile vedere un reportage dello stesso Fattori in due puntate, da dove sono tratte le immagini di questo articolo. Ecco il reportage nei due video-reportage: