
Proxy war degli Stati Uniti in Ucraina? Pare proprio di no. Ecco perché
di Massimiliano Paleari
Nel 1964 lo scienziato politico Karl Deutsch definì il concetto di proxy war: conflitti tra due potenze, combattuti sul suolo di un paese terzo e aventi l’apparenza di un contenzioso relativo ad una questione interna di quel paese. Inoltre, conflitti che utilizzano la “manodopera”, le risorse e il territorio di quel paese come mezzo per raggiungere degli obiettivi estranei al paese dove avvengono i combattimenti.
Siccome nelle discussioni sul conflitto in Ucraina ricorre spesso, con varie sfumature, il concetto di “proxy war voluta dagli Stati Uniti”, vediamo di analizzare bene la questione e capire se le cose stiano effettivamente in questo modo.
La guerra in Ucraina non è una proxy war degli Stati Uniti perché non è stata programmata da loro
Normalmente una proxy war è studiata a tavolino con una visione strategica da almeno una delle due potenze coinvolte. Ora, se osserviamo il comportamento degli Stati Uniti dall’inizio del conflitto fino ad oggi, vediamo tutto tranne che una visione strategica sugli obiettivi e sui mezzi per conseguirli.
A conflitto appena iniziato, subito dopo il 24 febbraio 2022, gli Stati Uniti offrono addirittura asilo politico al presidente ucraino e alla sua famiglia. Non è un indizio di una proxy war programmata mi pare. È solo di fronte alla, per certi versi inattesa, tenuta dell’esercito ucraino e delle istituzioni politiche che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale iniziano a cambiare atteggiamento e prospettiva.
Il rapporto tra Ucraina e Stati Uniti rimane paritario ed è in preminenza ucraino nelle iniziative di negoziato
Sì, gli Stati Uniti cambiano atteggiamento. Ma anche in seguito e fino ad oggi il rapporto tra Ucraina e Usa non è affatto quello che intercorre tra un servo ubbidiente e il suo padrone.

Intanto perché la stessa amministrazione americana non è un monolite, tutt’altro. Al suo interno vi sono differenti “vision” sul conflitto in Ucraina.
Si va dai falchi che lo vedono come un’occasione per smembrare la Russia, a chi in fondo lascerebbe anche il Donbass, tutto il Donbass, a Putin. Per non parlare della Crimea. Il punto principale è comunque un altro.
L’evidenza del rapporto Ucraina-Usa/Occidente mostra una forte dialettica. Il governo ucraino chiede, giustamente, più sanzioni, più aiuti, più armi e più in fretta. Dall’altra parte vi sono reticenze, resistenze, concessioni parziali e a volte tardive. Il che è tutto fuorché un atteggiamento da proxy war da parte degli Stati Uniti.
Nelle vere proxy war non assistiamo a queste strane dinamiche. O meglio, ci fu qualcosa del genere verso la fine del lungo conflitto indocinese, quando il Congresso degli Stati Uniti negò al Vietnam del Sud in difficoltà ulteriori aiuti militari. Proprio perché gli Stati Uniti avevano deciso di interrompere quella proxy war.
Ora, non è il caso attuale. Gli Stati Uniti non hanno deciso di abbandonare l’Ucraina, ma non sono loro a dettare gli obiettivi a Kyiv. In fondo lo ripetono sempre pubblicamente: solo gli ucraini possono decidere quando dire basta.
Altri motivi per i quali la guerra in Ucraina non è una proxy war degli Stati Uniti
Vi sarebbero molte altre considerazioni da fare. Solo un cieco (accecato da antiamericanismo viscerale) non si accorge che gli Stati Uniti, già assorbiti dal contenzioso commerciale e anche geostrategico con la Cina, non si sono buttati con entusiasmo nel “ballo ucraino”.
La guerra in Ucraina non può essere considerata una proxy war anche perché l’elemento di “guerra civile”, pur non del tutto assente, è tutto sommato trascurabile.
A combattersi sono essenzialmente russi contro ucraini, con i separatisti del Donbass relegati ad un ruolo del tutto marginale e ormai privo di qualsivoglia autonomia rispetto all’ingombrante “protettore”.
La volontà di potenza è solo da parte della Russia
La guerra in Ucraina riflette sì una volontà di proiezione di potenza imperiale, ma della Russia in primis, non degli Stati Uniti.
Diciamoci come stanno le cose. Putin, di fronte alle ritirate americane da Siria e Afghanistan (quest’ultima in particolare vergognosa e umiliante) ha pensato che fosse il momento giusto per dare una spallata in Ucraina riconducendola con la forza all’interno della propria sfera di influenza.

Si aspettava una passeggiata e il rapido insediamento di un governo pro-russo a Kyiv con cui “normalizzare” i rapporti. Ricordo che per la Russia “normalizzare” equivale a creare un Puppet State. Qui però ci fu l’inciampo.
La Russia il 24 febbraio scorso sottovalutò drammaticamente la coraggiosa e dignitosa volontà di resistenza della società ucraina nel suo complesso.
Società che ha trovato nel suo presidente, a prescindere da cosa ne pensasse prima, un simbolico elemento di coagulo. Sospetto che gli stessi Stati Uniti ne rimasero sorpresi. A quel punto l’Occidente si è visto quasi costretto a sostenere l’Ucraina aggredita, altro che guerra costruita a tavolino.
Insomma, l’Ucraina è un soggetto in questa vicenda drammatica, non un oggetto, se non nelle intenzioni finora frustrate della Russia.