di Gianluca Navarrini
Ciro Grillo, figlio di Beppe, è indagato per concorso in violenza sessuale, insieme ad altri tre suoi “compagni di sbronze”. Per questo motivo, nelle scorse ore, Beppe ha dato sfogo alla sua rabbia contro la magistratura in uno dei suoi consueti video-deliri, vere e proprie pubbliche vergogne.
Stavolta, però, la violenza farneticante del messaggio ha oltrepassato il limite della decenza: in un crescendo parossistico. Grillo ha chiesto spiegazioni, si è lamentato della durata delle indagini, ha congetturato, si è lanciato in sconclusionate interpretazioni psico-giuridiche. Si è sostanzialmente sostituito al pubblico ministero, agli avvocati e ai giudici. E ha finito per invocare, inspiegabilmente, l’arresto, oltre che per suo figlio, anche per se stesso.
Appare evidente che alla presunzione di innocenza per il figlio non può accompagnarsi una presunzione di intelligenza per il padre. Il quale, urlando e schiumando scompostamente, ha rivelato che il figlio è un coglione.
Ma una simile tara – che non scagionerebbe comunque il figlio, visto che le carceri sono piene di coglioni! – insinua il dubbio che essa possa avere un’origine familiare. E le ultime stralunate video-esternazioni di Beppe costituiscono indizi di una certa rilevanza per opinare che quel dubbio possa non essere del tutto infondato.
Pubbliche vergogne
Ma il video-delirio di Grillo rivela due cose ben più gravi. La prima è una grottesca somiglianza tra lui e Berlusconi. Entrambi usano la propria popolarità, ricchezze e influenza per finire in prima pagina e tentare di condizionare l’opinione pubblica, ottenendo una preventiva assoluzione popolare.
La seconda cosa è lo sconfortante e puerile semplicismo delle idee di Grillo in tema di società e giustizia. Il suo rozzo maschilismo, la sua volgare e grossolana interpretazione del contegno di chi ha denunciato una violenza (tutta da dimostrare, sia chiaro).
Idee così primordiali da risultare eversive. Idee condivise da molti esponenti di primo piano del M5S, anch’essi non diversi dai berlusconiani di più stretta osservanza. I primi sembrano pronti a giurare sull’innocenza di Ciro, così come i secondi giurarono sulla familiarità di Ruby Rubacuori con Hosni Mubarak.
Con barbaro cinismo, per anni il M5S ha brandito lo slogan dell’onestà come una clava; ha sfruttato la frustrazione delle “plebi”, trasformandola in rabbia contro il “patriziato” delle élite, sempre additate come disoneste. Ha utilizzato il grimaldello dell’iscrizione nel registro degli indagati per insinuare che una intera classe dirigente fosse animata da spirito criminale.
Ma oggi, se davvero aspira ad accreditarsi come una forza politica matura e affidabile, il M5S dovrebbe stigmatizzare le esternazioni farneticanti di Grillo. E dopo questo raccapricciante video, queste ulteriori pubbliche vergogne, dovrebbe licenziarlo in tronco dal suo ruolo di Garante, per manifesta inadeguatezza. Solo un despota, e non un garante, pretende per sé e per i propri cari le garanzie che non riconosce a tutti gli altri.