di Francesco Randazzo
Quando il lombrico uscì dalla terra, non seppe che fare e non si rese nemmeno conto d’essere spuntato in superficie. Ebbe soltanto una sorta di fremito sgomento, quando non sentì più la terra sopra di lui.
Si sentì perduto e si dimenò, inarcandosi in aria, ripetutamente, senza ragione. Intorno a lui c’era il vuoto, il nulla, niente da masticare, niente da defecare.
Pensò che qualcuno gli avesse rubato tutto. Si dimenò ancora. In una lingua incomprensibile urlò tutta la sua rabbia e infine, frustrato, si fermò.
Rimase immobile, esausto, e dopo un po’ riuscì a pensare che sarebbe stato meglio rificcarsi nel terreno e scavare verso il basso, mangiando e cagando terra.
Purtroppo in tutto quel suo agitarsi s’era spostato a piccoli salti su una larga pietra piatta, così quando tentò la ritirata si ritrovò bloccato e sbattè inutilmente il muso. Cosa poteva fare? Sotto di sé c’era un ostacolo duro e impenetrabile, sopra di sé un vuoto sconcertante e inaccessibile.
Inoltre, come tutti i lombrichi, era cieco, quindi l’unica cosa che poteva fare era pensare. Ma essendo privo di cervello, gli riusciva molto difficile, non del tutto impossibile, ma decisamente arduo. Secondo la teoria di Lamartine-Chassé il moltiplicarsi delle sinapsi neuroniche cerebrali è inversamente proporzionale alla confusione entropica del pensiero, dunque un livellamento al minimo delle sinapsi produce chiarezza di pensiero, limpidezza cerebrale.
Dunque, il lombrico, nella sua vacuità cerebrale, era la perfetta dimostrazione della suddetta teoria. Dal pulpito della sua lastra di pietra edificò l’opera assoluta che avrebbe rivoluzionato il mondo. Smettendo di agitarsi, si rilassò e distendendo ogni sua fibra cominciò ad organizzare un sistema teorico che rendesse merito e ragione a quel suo stato di costrizione, strutturando ed elevando tutta l’insipienza che l’aveva causato in una straordinaria opera di salvezza ed esaltazione. Dall’alto del suo piedistallo di pietra che il caso gli aveva messo sotto il blando corpo, vibrò e compiendo un miracolo finora impensabile, parlò a tutti i lombrichi ancora beatamente sopiti nella terra.
“Da questo pulpito che gli Dei della Madre Terra hanno voluto benignamente che io vi parlassi, amici, fratelli e sorelle, popolo mio di lombrichi, io sarò il vostro capitano, la vostra guida, per voi sacrificherò tutta la mia esistenza, per la vostra felicità, il vostro benessere, la vostra protezione!”
“Mai più saremo invasi e uccisi da animali stranieri, barbari rapaci che attentano alla nostra sicurezza, tentando di distruggerci con subdoli raggiri e violenza senza pudore. Dalla terra che mastichiamo risorgeremo nuovi, dalla terra, la nostra terra, ergeremo il nostro baluardo di difesa.”
“Popolo lombrichiano, ti esorto a masticare e defecare indefessamente, per innalzare il Grande Muro Escrementizio che ci separerà dai selvaggi invasori e proteggerà la nostra stirpe! Mai più soffriremo le prevaricazioni di chi è diverso da noi e pretende di occupare il nostro posto nella nostra patria benedetta. Alto risuonerà nei secoli a venire l’urlo di gioia e il monito nostro: – Prima i Lombrichi! Il resto che si fotta!”
Mentre il lombrico proferiva questo breve ma incisivo discorso, cento e mille suoi simili sbucarono dal suolo, mangiando e defecando terra; si esaltarono, inneggiarono al loro nuovo capo dimenandosi con elettrica foga e ben presto, grazie all’alacre e indefesso lavoro dei loro orifizi, ersero una grande muraglia di terra argillosa che risplendette al sole con orgoglio. Strisciarono orgogliosamente, esultando per la loro grande opera che circondava la pietra del grande capitano lombrico.
Ammassati nel loro spazio ristretto, cominciarono a scavare, mangiare e defecare all’unisono, esaltati e solerti, produssero un’enorme quantità di escrementi; ma la terra, esausta da tanto vermoso lavorio, si seccò e tutte quelle insulse creature, subirono la più grande carestia che la storia dei lombrichi ricordi.
Fu a quel punto che il capitano lombrico, chiese ed ottenne per sé i pieni poteri, instaurando la prima dittatura democratica vermosa. Dal suo podio di pietra accusò la terra di congiurare contro la nobile stirpe dei lombrichi e di voler sabotare la millenaria tradizione di mangiarla e defecarla continuamente, come dalle origini del tempo era sempre avvenuto. Gridò la sua rabbia e dichiarò guerra. Nessuno aveva idea di cosa fosse.
Il lombrico comandante disse loro che avrebbero fatto qualcosa che nessun lombrico aveva mai fatto. Si sarebbero emancipati dalla schiavitù della terra. Avrebbero smesso di nutrirsene e si sarebbero nutriti da soli. Così ogni lombrico prese a divorare sé stesso cominciando a masticarsi dall’estremità della bocca all’orifizio dell’ano.
Morirono tutti, ridotti in palline che si putrefecero al sole e rifertilizzarono la terra. Il Grande Lombrico, esultò, dichiarando vinta la guerra, poiché la terra si era arresa, grazie al sacrificio del suo popolo ed era tornata ubertosa e nutriente.
Ma a parte lui, non c’era più nessuno da nutrire. Piovve e il grande cerchio di protezione si dissolse.
Quando tornò il sole, una gallina di passaggio vide il lombrico sulla pietra e con uno scatto rapido del collo, lo infilzò col becco e lo ingoiò.
I lombrichi dei campi confinanti, non seppero mai cosa fosse successo, ma scavando, mangiando e defecando, arrivarono fino al terreno concimato dagli scomparsi lombrichi isolazionisti.
Era ottimo e se ne nutrirono a lungo, ingrassando oltre misura e nutrendo a loro volta le fortunate galline del pollaio vicino.
Nessuno ricorda più questa storia, nessuna memoria resta di tanta insensatezza, ma da allora, istintivamente i lombrichi rifuggono le pietre e chi vi sale sopra. Preferiscono stare in gruppo, scambiandosi nutrimento in ogni terra che attraversano, e la loro placida ma solerte stirpe non avrà mai fine.