di Vincenzo Pino
Diciamo la verità, la destra non è messa bene. Salvini risulta ormai impresentabile dopo aver consumato le proprie chances di leader politico, avendo imboccato al Papeete una strada da cui è uscito con le ossa rotte.
Lo ha dimostrato plasticamente il dibattito parlamentare per la fiducia al nuovo governo quando, la Lega è stata costretta a fare un tifo da stadio per impedire che Conte parlasse. Anzi, quasi imperversasse sulla categoria del “tradimento”.
Il tentativo disperato della Lega di scaricare la responsabilità della formazione del nuovo governo sui Cinque Stelle è risultata una Waterloo alla luce della narrazione fatta da Conte.
Conte in pressing
Il Presidente del Consiglio ha evidenziato come la presentazione della mozione di sfiducia al precedente governo fosse animata essenzialmente dalla voglia della Lega di raccogliere il massimo consenso possibile e non certo dall’interesse per il Paese.
E ha definito la richiesta di elezioni anticipate come una torsione dei canoni istituzionali e costituzionali, visto che questi prevedono “ la normale durata quinquennale della legislatura e la potestà delle forze politiche di assicurare una maggioranza ed un governo al paese”.
Con questo intervento, Conte ha ribadito chiaramente una discontinuità col precedente governo e con quell’alleanza che non potrà essere recuperata più dalle ambiguità di Di Maio.
Il quale invece puntava con pervicacia alla possibilità di un ritorno indietro per rifondare il tandem con Salvini.
Turbolenze nel centrodestra
Ma è sul cielo di centrodestra che incombono le peggiori nubi. Lo sfacelo di Forza Italia è sotto gli occhi di tutti. Con posizioni divaricate che vedono Rotondi e la Carfagna da un lato e Toti dall’altro. Quest’ultimo ormai ha passato il Rubicone in direzione Lega e vede già il proprio partito sondato al 2% circa.
Di Salvini si è detto. Ha tradito la vocazione governista della Lega Nord quale plasticamente si evidenziava ieri in Parlamento esaltandone una vocazione oppositoria, quasi plebea, che non può certo aspirare nel breve e medio periodo a rappresentare i ceti produttivi del centro nord.
Una Lega spiaggiata in un sovranismo isolazionista che tarpa le possibilità di crescita produttiva per quelle imprese fatta di esportazioni e di interscambi coi paesi Ue, in particolare Francia e Germania.
Prove di leadership a forza di meloni
Resta la Meloni che sembra aver assunto la leadership dello schieramento del centrodestra in questa dimensione demagogica e piazzaiola dello stesso. Senza una straccio di proposta politica che non sia l’incubo di Prodi agitato come lo spettro di una possibile confluenza di Pd e Cinque Stelle per portarlo al soglio più alto del paese, cioè al Quirinale.
Manovra contro cui ha già approntato il rimedio. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica da parte degli elettori sbandierata ieri dal palco di Piazza Montecitorio.
Non sa la poverina che per questo occorre una riforma costituzionale con una maggioranza dei due terzi o in subordine una maggioranza assoluta con una doppia lettura delle Camere ed un successivo referendum. Maggioranza che peraltro non ha.
Ma lei, ubriaca del suo 7%, non si rende conto di quello che dice. Si era illusa di poter andare ad elezioni anticipate per poter eleggere il nuovo Presidente della Repubblica ed ora propone questa ridicola ed impraticabile “exit strategy“. Nuovo astro di questa destra, sconclusionata ed arruffona.
In fondo, si sarà chiesta, se Salvini pretendeva le elezioni anticipate a suo piacimento, lei perché non può pretendere di far credere a quest’altra follia?
Il sorpasso-Meloni
Perché no? Visto che la Meloni era stata per un anno e mezzo ad inseguire Salvini che non l’ha neanche voluta nel governo gialloverde. “Se proprio volete appoggiare il governo, vogliamo Crosetto nell’esecutivo e non certo te” risposero all’unisono Salvini e Di Maio.
Mentre è ora lei a dettare al padano tempi e contenuti della politica. Che rivincita e che soddisfazione. Sono messi male a destra. Molto male. Tanto più che Facebook ha bloccato i profili di Casa Pound con i quali la Giorgia sperava si potesse diffondere il suo “verbo”, visto come imperversava sui social.
E tutto nel giorno in cui l’affluenza al suo comizio di Piazza Montecitorio è stata ad un certo punto bloccata per ragioni di sicurezza, grazie al decreto Salvini. Che sfiga.
Rimane la Meloni. Che si indigna per chi tiene alle poltrone, quando lei ne occupa, da sola, ben tre: Presidente di FdI, Consigliere al Comune di Roma e Deputato alla Camera. Il tutto condito con bufale dettate dalla propaganda del Cremlino.