di Vincenzo Pino
Non vi è dubbio che in questa fase il duo Zingaretti Renzi stia giocando da squadra. Gli spazi per giocare questa partita sono ampi.
Abbandonate le vecchie fregole sui governi a guida Pd da cancellare e sulle possibili alleanze col movimento pentastellato, il Pd zingarettiano cerca di conquistare una centralità politica che tenta di riconnettere insieme uno schieramento che possa andare dal civismo di sinistra alla Pisapia e Zedda fino alla componente liberaldemocratica di Calenda.
Prende sostanza l’antico schema di un segretario che si collochi al centro e che possa di volta in volta assumere posizioni connotate da coloriture provenienti da diverse ispirazioni.
Per ora sembra sia questo l’adagio su cui il Pd ha ritrovato la sua unità che lo fa crescere speditamente nei sondaggi, recuperando voti dall’area delle astensioni dovute in passato principalmente all’acutezza dello scontro interno. Cercando di superare, così, le conseguenze della scissione che hanno strascichi ancora nel presente. Sondaggi che adesso collocano il Pd a ridosso immediato dei pentastellati.
C’è ancora, a mio avviso, ulteriore spazio di consensi se Zingaretti connoterà più chiaramente la sua vittoria alle primarie non come la sconfitta di Renzi e del renzismo. Visto che in questa fase una parte del popolo Pd si è messo alla finestra, come da parola d’ordine che gira nei social che a quella collocazione si richiamano. Non una corrente, come ha chiarito Renzi anche in TV, ma elettori che vivono la vittoria di Zingaretti alle primarie come una restaurazione ante-2014.
In questa fase, al contrario, io credo che sia interesse dello stesso Zingaretti il non forzare la mano su questo terreno. Sembra che finora abbia fatto in ogni caso da aggregatore, lasciando, senza mai polemizzare, un vasto campo di rappresentazione a Renzi. Il quale lavora specie all’estero a creare un’area più larga di forze rispetto a quelle che si richiamano alla vecchia famiglia socialista, a sostenere chiaramente Macron ed il suo programma di rinascimento europeo. Per non parlare del suo recente incontro con gli esponenti politici spagnoli di Ciudadanos.
Chiunque conosce la storia politica e personale di Zingaretti sa che lui evita qualsiasi occasione di scontro diretto sulle cose. Non a caso, nell’ambito del suo schieramento, il suo soprannome apparentemente irriverente ma in realtà di apprezzamento, è “saponetta”. Per cui è possibile che almeno fino all’appuntamento delle prossime elezioni regionali e quelle europee sarà questo il refrain della politica del Pd: un allargamento della base elettorale raccogliendo forze di diversa ispirazione. Ovvero, la stessa vocazione e fondazione del Pd.
Un successo alle Europee del Pd vedrebbe perciò due vincitori. Uno sarebbe Renzi, che vedrebbe ulteriormente rafforzata la sua strategia di opposizione ai pentastellati i qual potrebbero uscire schiantati dall’appuntamento elettorale. E ovviamente la vittoria di Zingaretti, diventato polo attrattivo per una parte del popolo di sinistra che si era allontanato dal Pd per la connotazione di “destra” che aveva attribuito a Renzi.
L’elemento problematico rispetto a questa strategia è rappresentato dagli scissionisti e dal loro rientro nel Pd. Tipico esempio di questo nodo è la vicenda della Simoni che era uscita nel 2017 dal Pd, candidandosi con LeU nel 2018 e che afferma di volersi di nuovo tesserare nel Pd.
E’ certo un dato politico importante questo ripensamento e questo intento, dimostrando il sostanziale fallimento dell’operazione scissionista. Ma c’è qui anche da tener conto delle regole statutarie del Pd che impediscono di rientrare nel Partito per due anni a chi si è candidato in uno schieramento avverso. Va anche considerato l’orgoglio di coloro che hanno resistito e si sono visti attaccare senza esclusione di colpi in campagna elettorale come fossero similberlusconiani mentre per loro la vera sinistra era costituita quasi dai grillini.
Ed il nodo per il Pd è anche questa domanda: far rientrare non solo i voti in uscita verso sinistra ma anche una parte del gruppo dirigente di LeU?
Secondo me questo nodo si scioglierà dopo le elezioni europee e sarà paradigmatico rispetto ad un Pd che mantenga un suo profilo unitario come quello che andrà in questa fase alla scadenza delle elezioni Europee. Ovvero, la questione è se il Pd a guida Zingaretti si trincererà o meno a sinistra nell’alveo ristretto del vecchio socialismo europeo “modello Corbyn”. In questa eventualità, il rischio di spaccarsi nuocamente sarebbe alto, ovviamente.
E sarà il risultato alle Elezioni Europee in ambito Ue a determinare l’esito di questa problematicità. Per ora e fino alla scadenza elettorale europea tutti uniti appassionatamente. Speriamo. Ci sono infatti ampie aree elettorali da conquistare e nel Pd sembra che ci sia spazio per tutte le varie sensibilità.