di Marco Pomar
I miei esami di maturità li ricordo ancora oggi. Come fosse ieri. E se per caso provassi a dimenticarli, ci sarebbe sempre il mio inconscio a rinverdirmeli nei sogni.
Ricordo il terrore nei nostri volti quando si seppe che era uscito il greco scritto. Araldi era sicuro che dopo due anni di fila di greco, sarebbe uscito il latino, e fino a Febbraio non aveva toccato libro. Si era dimenticato perfino l’alfabeto.
Ebbe una crisi di pianto che per farlo riprendere dovemmo alternarci a offrirgli due calzoni fritti al giorno a ricreazione.
La mia era una classe anomala. Succhiavamo il nettare della vita, e studiavamo lo stretto necessario.
O forse anche un poco meno. E siccome l’anomalia era rappresentata più che altro dall’ignoranza diffusa, la terza elle non aveva nemmeno un primo della classe che si rispetti.
Diciamo che eravamo una discreta accolita di lagnusi. Proprio Araldi, che aveva la media del sei, era considerato il primo della classe, e su di lui riponevamo le speranze di una maturità da trentasei politico.
La professoressa Garmagna, di greco, in primo liceo aveva provato a insegnarci qualcosa, ma avendo presto capito che trattavasi di impresa impossibile, aveva deciso di darci le basi minime per non tornare a casa con la sensazione di avere rubacchiato lo stipendio. Alla notizia dell’uscita delle materie, conoscendo i suoi polli ci aveva preparato, dopo una settimana di panico diffuso, allo scritto di greco.
Ovviamente non insegnandoci la lingua, ma dandoci preziosi suggerimenti logistici. Facemmo una simulazione dei posti, con Araldi e Concetta Mannino, detta quattrocchi, dislocati nei punti nevralgici delle due file, dai quali dovevano partire i suggerimenti sia a salire che a scendere.
Rigorosamente vietati i pizzini, ci disse la Garmagna, che si rischiava la bocciatura, l’espulsione da tutte le scuole, il carcere duro e forse, anche la fucilazione in palestra. Così organizzammo una versione long del telefono senza fili, che nella simulazione riuscì perfettamente.
Da Araldi a Coccione, giù per la Bondì, Martorana, Visconti, Vasile, Lupo e via gli altri. A salire da quattrocchi a Maniscalco, la Cicirella, Mancuso, a me, Davì e Rosellina Monaco, fino alle retrovie. Anche se Davì raccontava a tutti che avrebbe suggerito sbagliato a Rosellina Monaco perché l’aveva data a Vasile e non a lui. “Minchia, ma io vengo dopo la Monaco. Così fotti pure me!”, obiettava Giangrasso. “Me ne fotto, vai da Rosellina e la convinci!”
Solo che gli esami non sono una simulazione, e tra l’emozione, il membro esterno che passava e spassava, l’ansia del tempo che scorreva, le cose non andarono proprio come l’avevamo immaginata.
La versione era di Aristotele, ma per noi avessero detto Parmenide, Bistefani o Pruzzo, sarebbe stato uguale. Anzi, su Pruzzo io ero molto più preparato.
Le prime righe facevano così: “Si narra che Pisistrato, avendo visto uno che arava e lavorava un campo del tutto rivestito di pietre, per lo stupore ordinò al suo servo di chiedergli che cosa gli venisse dal campo; e quello rispose: “Solo angosce e dolori, e di queste sofferenze e di questi dolori Pisistrato deve avere anche la decima”.
Il primo passaggio divenne: “La nonna di Pisistrato ha visto uno che andava e veniva dal campo tutto vestito fino ai piedi, e per timore ordinò al verbo cosa c’era nel manto. E quello rispose: ho le cosce di fuori, di queste sonnolenze e di questi colori Pisistrato può avere la decima.”
Per non dire di quello che arrivò a me: “La nonna e Pisistrato hanno visto uno svestito dalla testa ai piedi, ordinando in serbo una cena con amianto. E quello gli fa: con le cosce di fuori sei una potenza, se sai fare l’amore con Pisistrato puoi arrivare alla decima!”
Io sentivo che c’era qualcosa che non andava. Eppure Davì non ci aveva ancora messo mano.
Non oso pensare come continuò quel disastroso passa parola, visto che mancavano ancora numerosi passaggi. So soltanto cosa mi disse il membro esterno agli orali: “La sua versione è molto particolare. Le confesso che stavo per metterle un voto insufficiente, ma la vostra professoressa Garmagna mi ha detto dei metodi di scrittura creativa nelle traduzioni che vi ha fatto fare quest’anno. Interessante, non c’è che dire.”
Grande, indimenticabile prof.
La Garmagna sta nelle nostre preghierine della sera, da allora.
Domanda da trentasei politico agli esami: chi è Roberto Pruzzo nella foto di copertina?
Squadra della Roma Campione d’Italia 1982-83. Foto tratta da Wikipedia. Di sconosciuto – sconosciuta, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=587987
Statua di Omero nel testo tratta da Wikipedia. Di Marie-Lan Nguyen – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8904954
Foto nel testo, vespa 50 Special, rossa, tratta da Wikipedia Di Heurtelions – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5918745