Sembra un passa parola tra gli stessi 5 Stelle: “Distruggere Giggino”. Perché?
di Vincenzo Pino
C’è una fase convulsa nella campagna elettorale che però ha una chiave di lettura. C’è oggi, e finalmente, un attacco concentrico sulla capacità di governo dei 5 Stelle. La cosa, però, fa pensare perché non accadeva da tempo.
Dai quotidiani scandali nella formazione delle liste in quel di Roma alla rimborsopoli bruxellese, passando per la fuga in massa di militanti delusi in ogni dove fino al programma di governo copiato: una serie di bordate d’altri tempi.
E fa fatica Il Pompiere della Sera ad ignorare tutto ciò, come pure il Tappo Quotidiano a ri-declinare il groviglio. Diventa difficile prendere le difese dei 5 Stelle, e si assiste a considerazioni contrastanti.
Le contraddizioni di un’accozzaglia indistinta, chiamata opportunamente movimento, stanno emergendo con una carica dirompente. Appare sempre più chiaro che il M5S abbia cavalcato tutti i motivi di malessere del Paese per imputarli agli altri a fini di consenso e senza alcuna coerenza di comportamento e di capacità di risoluzione degli stessi.
Vero, c’è la campagna elettorale. Ma ciò che sta avvenendo adesso potrebbe essere letto anche sotto un’altra e più profonda chiave di lettura. E cioè la volontà, neanche tanto velata, di ampi settori dello stesso M5S, di affossare il “tentativo” di governo di Di Maio e Casaleggio junior. Già nelle parlamentarie e nel suo esito questa rappresentazione è chiarissima: la sproporzione di preferenze a favore della Taverna (quella che “c’è un complotto contro di noi per farci governare a Roma”) lo dimostra.
Come pure il tentativo di pulire le liste, lo sberleffo dei selfie di Di Battista con Emanuele Dessì o la presenza dello stesso nel palco assieme a Grillo. Cose che hanno lasciato in braghe di tela Giggino Di Maio. Ma anche sul piano politico più ampio, l’operazione è chiarissima: se il Giggino si era lanciato in un programma di legittimazione del movimento a fini di governo (anche prospettando a Londra possibili alleanze persino con il Pd) l’intervento di Grillo ne ha subito rintuzzato le velleità.
E, per finire, la sparata di Di Battista sul “rincoglionimento” degli italiani con la prevalenza del linguaggio offensivo. Anche questo è segno che ad una parte prevalente del M5S la prospettiva di governo è indigesta assai. Meglio continuare sulla vecchia e più comoda strada dei vaffa.
E forse ora si capisce meglio perché il Dibba non si sia candidato… in attesa di tempi migliori. Forse ha dovuto subire il Di Maio, per adesso, e anche la prevalenza dei gruppi parlamentari uscenti, i quali avevano maturato qualche principio di costituzionalità e di bon ton istituzionale.
Ma la partita per riprendere il controllo dei cittadini eletti è ancora tutta da giocare. Ed allora va bene nelle liste Dessì: quello che dà il segno di cosa sia in effetti il movimento.
Dispiace che una parte degli italiani creda che il M5S possa essere una prospettiva di ricambio di personale politico e di governo. Grillo ha provveduto comunque ad impedirlo. I vecchi satrapi della politica impediscono ad una nuova generazione di affermarsi come ben sa Renzi all’interno del Pd. L’Italia sembra sempre più un Paese di vecchi acidi che tendono a perpetuarsi all’infinito.
Grillo, D’Alema, Berlusconi e Grasso sono, in questo, uniti nella lotta (di sopravvivenza): tornare indietro verso i lidi dell’inconcludenza politica corroborata da una verbosità offensiva nei confronti degli avversari. Riprodurre, così, lo schema che in questi ultimi venti anni non ci ha schiodato dal dilemma filo/antiberlusconiano: i personaggi sono tutti pronti al remake. E a regalare di nuovo il governo a Berlusconi che, come dice D’Alema, “è meglio di Renzi”…