Palermo, essendo capitale della cultura dopo aver vinto il confronto con Recanati, dovrebbe riflettere sulla propria condizione di capitale anormale
di Gabriele Bonafede
Dal primo di gennaio 2018, Palermo è capitale italiana della cultura. Italiana, si badi bene, non europea. E ci mancasse. Pur avendo una concentrazione di patrimonio artistico e architettonico superiore a quello di intere nazioni, Palermo riesce ad essere solo capitale della cultura italiana e non europea. Più che un fiore all’occhiello, è uno schiaffo morale.
La realtà, la dura realtà, è che Palermo è fondamentalmente una capitale anormale, o una capitale dell’anormalità. Nel bene e nel male. E non solo a causa di “vulcani”, “siccità” e “traffico”.
Stupenda, in un posto invidiabile, dal clima grandioso e con potenzialità che vanno ben oltre lo sviluppo turistico e commerciale, Palermo arranca da generazioni. L’ultimo periodo di vero splendore risale alla “Palermo Felicissima” dei Florio, a cavallo tra il XIX e XX secolo. C’è stato anche il boom degli anni ’50 e ’60, ma purtroppo segnato da traffici e speculazioni mafiose non certo annoverabili quali splendore. Il sacco di Palermo ha tolto alle generazioni future un impianto di monumenti, ville, parchi e giardini che oggi sarebbero oro. Senza contare i morti ammazzati e la distruzione economica e sociale causata dal pizzo.
Per il resto, dopo la spaventosa stagnazione del ventennio fascista e l’autodistruzione in una guerra senza senso, Palermo ha avuto uno “sviluppo” limitato e parassitario: anormale. Palermo è stata trainata delle spese pubbliche della Regione e dello Stato nazionale, ma soprattutto, a partire dagli anni ’80, trainato quasi esclusivamente dall’Unione Europea. Trainata cioè, dall’appartenenza a un’Unione Europea che ha portato sviluppo laddove, come a Palermo, lo sviluppo endogeno non c’è perché non lo si vuole.
Palermo rifiuta infatti le migliori risorse da sempre, imbarcando immigrati, prima dall’entroterra e adesso da altri continenti, ed espellendo le migliori risorse umane altrove. Non perché ce ne sia bisogno, ma perché la classe dirigente rifiuta lo sviluppo purchessia. Tanto è vero che, oggi, Palermo rifiuta anche l’Europa. Palermo rifiuta, nel suo essere capitale anormale, proprio l’Unione Europea: unico vero traino allo sviluppo e alla civiltà di una città irredimibilmente anormale.
Al momento Palermo ha grandi occasioni nel settore turistico. Eppure lo stesso turismo, come in larga parte della Sicilia, è gestito in maniera quanto meno autolesionista. Basta guardare ai maggiori attrattori di turisti.
Monte Pellegrino ha una versante interamente inagibile. Bruciato ciclicamente da “ignoti”, è gestito in maniera semplicemente mostruosa. Monreale è un concentrato di rifiuto del turismo. Ristoranti pessimi, con prezzi improponibili, problemi di accesso, e un centro pedonalizzato anche quello solo grazie ai fondi europei che hanno tolto lo schifo che c’era prima. Se non ci fossero stati i fondi europei e l’euro, Monreale sarebbe ancora com’era venti anni fa: un gioiello mondiale dell’arte in rovina nel mezzo dell’incuria e dell’inciviltà a livelli parossistici.
I maggiori palazzi e monumenti di Palermo sono aperti solo occasionalmente con manifestazioni quali “Le Vie dei Tesori” o altro. Il centro storico migliora, sì, ma è ancora ricoperto da vergogne degne di un sottosviluppo da terzo mondo.
Musei tanto grandiosi quanto vuoti. Senza nessuna organizzazione che si possa ritenere tale e nessuna campagna realmente pubblicitaria, spesso chiusi o gestiti nell’anormalità palermitana: precari pagati male e con un interesse e una competenza assolutamente infime. Teatri e cinema che agonizzano nonostante la grande vitalità di un popolo che rimane pur sempre teatrale in ogni aspetto della vita, anche più del napoletano.
Per non parlare dell’abc urbanistico: rotatorie disegnate con i piedi da sedicenti urbanisti, segnaletica stradale sbagliata o inesistente, soprattutto quella orizzontale. Bizzarre piste ciclabili che diventano attrazione turistica per via del dileggio. Più di una volta mi è capitato di incontrare turisti che ridono delle strisciette bianche sui marciapiedi quando capiscono che vorrebbero rappresentare improbabili piste ciclabili.
E non parliamo della munnizza a go-go, e dell’inciviltà completa degli automobilisti palermitani che è roba da ostrogoti o vandali. A Palermo si ha l’impressione che guidare a casaccio parlando al telefonino sia obbligatorio. Il palermitano si promena per le strade con la bicicletta o il cane, ma lasciando cacca putrida ad ogni angolo. Un cane è troppo spesso considerato un giocattolo alla moda e non un’adozione. Anormale anche nel cibo, a Palermo fioriscono locali dove si mangia carne all’irlandese seduti su improbabili trespoli per popoli alti una spanna in più, disertando la cucina locale. Che, con tutto il rispetto per le cucine d’altrove, non ha pari in quanto a ricchezza e varietà. Ma tant’è.
Palermo è forse la città più anormale al mondo per quanto riguarda i mezzi pubblici, avendo realizzato un tram che va da periferia a periferia, senza passare dal centro: come se una pizzeria chiudesse nel fine settimana o un negozio di giocattoli non aprisse a Natale. Il fallimento economico e finanziario è assicurato. Per non parlare del resto.
Ma non è finita. L’anormalità di Palermo arriva ad essere palpabile persino nello sport: un club di calcio campione d’inverno con lo stadio completamente vuoto. Perché? Perché il palermitano se la prende persino con chi, come Zamparini, ha dato una dignità a un club che per i precedenti 100 anni è stato lo zimbello d’Italia in quanto a fallimenti sportivi, morali ed economici…
Fallimenti. Parola chiave, anche qui. Si procede per un fallimento di una società, appunto la US Città di Palermo, che paga stipendi e fornitori, nel bel mezzo di un panorama economico dove gli affitti e le bollette non sono pagati mai in tempo, dove decine di imprese sono fallite o decotte, dove i crediti non vengono restituiti e la giungla dei fallimenti, quelli veri, fa invidia agli anaconda dell’Amazzonia.
La vicenda ha dell’incredibile, sapendo anche che persino nella lotta al “traffico”, come definisce la mafia il noto film di Benigni, a Palermo pare ci siano magistrati che avrebbero usato per fini personali il proprio posto di gestione dei beni confiscati alla mafia. Qui, più che all’anormalità si arriva alla vergogna più completa. Il processo è in corso e i magistrati in questione potrebbero risultare innocenti. Ma nulla toglie alla vergogna dal punto di vista sociale ed economico: una cosa quanto meno anormale.
E qui mi fermo. Perché in realtà ci vorrebbero diversi tomi enciclopedici per parlare di Palermo quale capitale anormale. Mancano infatti diversi settori come l’istruzione, le università, gli ospedali, il mondo del lavoro precario di ogni giorno, quando c’è…
Palermo, essendo capitale della cultura dopo aver vinto il confronto nientepopodimeno che con Recanati, dovrebbe riflettere sulla propria condizione di capitale anormale.