
di Daniele Billitteri
No, non è un refuso. Ho scritto vuoterò e volevo scrivere vuoterò. Io andrò a votare. L’ho già detto. Per quanto accasciato sui terribili destini recessivi del Paese, per parafrasare Leopardi, domenica mattina me ne andrò al seggio con Diego e voteremo. Non so cosa voterà lui.

Ma il bello è che, a 48 ore dal voto, non lo so nemmeno io. Non ancora. Ma a votare ci vado perché ogni volta che ci sono elezioni penso a quella prima volta che votai, a come mi sentivo bene, a come mi sentivo importante.
Entrai nel seggio che parevo Togliatti. Salutai tutti con strette di mano, una pacca sulle spalle al rappresentante di lista del Pci che conoscevo. Guardai la scheda con molta attenzione per verificare che non fosse segnata, che fosse tutto a posto. Provai la matita copiativa sul piano d’appoggio e finalmente votai. Mi raccomandai di evitare che mi tremasse la mano e riuscii a fare una bella X perfettamente simmetrica su un simbolo che amavo, che era il simbolo della mia stessa vita, di un percorso, di uno stimolo di studio, di una speranza più che di un sogno. Misi la scheda nell’urna, me ne andai e fuori mi sembrò che ci fosse più luce adesso che il Paese aveva concretamente preso atto che io esistevo. Come uno dei Cavalieri di Calvino.
Allora non vedevo l’ora di andare a votare perché ero convinto che ogni volta ce l’avremmo fatta, che le cose sarebbero finalmente cambiate, che questo Paese avrebbe finalmente premiato i migliori. O, almeno, quelli che per me erano i migliori.

Adesso lo sapete che mi succede? Quando mi chiamano per votare (qualsiasi cosa, compresi condominio e referendum), mi scappa un pensiero: chi camurria! E mi dispiace perché mi pare un pensiero qualunquista e io non mi sento tale. Mi spingono nella cabina e mi ritrovo lì dentro con tanta voglia non più di votare ma di vuotare il sacco, di scrivere inutile parole di rabbia. La mia voce si è fatta sempre più tenue, sempre più indistinta, sempre meno ascoltata. Non perché io sia chissà quale guru. Parlo della mia voce come quella di milioni di persone che vivono qui e che quella voce non sanno più a chi affidarla.
Io non voglio parlare male di alcuna delle forze politiche in campo. Ovviamente ho avuto la mia formazione politica, ho fatto le mie scelte, le ho aggiornate, le ho messe in discussione, ho riordinato le cose rimaste e su quelle ho ristrutturato l’edificio della mia vita di anno in anno. Quindi ho le mie idee, sono “criticamente schierato”, penso che la Sinistra sia meglio della Destra, che il cosiddetto populismo premia gli incompetenti.
Il mio problema non è quello di trovare cosa dire di male delle forze in campo, ma la tristezza di non riuscire a trovare come dire bene di qualcuna di esse. Ma così vince il meno peggio, il più precario, il più incerto, il più brevilineo. Io sono cresciuto con Berlinguer, con Moro, con Altiero Spinelli, con Nilde Iotti, con Tina Anselmi, con Romano Prodi. Ne basta in quarto di uno solo di questi per fare ombra sull’intero allevamento del vertice (vortice) politico italiano.
Abbiamo cresciuto (anche noi “antichi”) un Paese che sorprendentemente mostra un forte desiderio di illegalità. Qui le tasse le paga solo chi se le vede tolte dallo stipendio ma se fosse possibile…. Berlusconi, i suoi soldi, le sue donnine è stato l’uomo più desiderato e invidiato d’Italia, Renzi pare il suo concorrente a sinistra, Grillo sa abbaiare ma non mi pare un cane pastore che sa anche guidare e proteggere un gregge.

Ma, ripeto, non serve parlare male di qualcuno, ma cercare di trovare qualcuno di cui si si possa parlare bene. E non lo trovo. Qualche settimana fa, in un solo giorno abbiamo ascoltato delle infiltrazioni mafiose in Lombardia, degli imbrogli di una cosca di docenti universitari che pattiava cattedre e di quasi cinquecento vecchietti morti di fame che, residenti all’estero da vent’anni, continuavano a prendere la pensioni di vecchiaia in Italia. Cornuto chi parla.
Ma non vi pare la sconfortante foto di un Paese intero? Una volta c’era il bieco capitalista col cappello a cilindro, il sigaro e la catena d’oro. Oggi quello c’è ancora ma la concorrenza, anche quella stracciona e senza speranza, è forte, larga e diffusa.
Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole ma non c’è. Solo polveri sottili e straordinari commedianti. Andrò a vuotare e lascerò nella cabina il mio pensiero affettuoso e solidale per un paese che diventa sempre più luogo fisico che casa dignitosa di un popolo chi, invece, sogna la villa, “a villa ri fuori”, come dicono i palermitani. E neanche si accorge che, ora come ora, così gli spetta “a villa ri rintra”.
Buon vuoto a tutti.
1 thought on “Ecco per chi vuoterò alle elezioni regionali in Sicilia”