di Gabriele Bonafede
Prima ancora che fosse dichiarata unilateralmente l’indipendenza dal parlamento regionale, erano già quasi 1700 le imprese che avevano lasciato la Catalogna in solo 18 giorni, cioè a partire dall’acuirsi della crisi. A queste vanno aggiunte le oltre 500 che si erano trasferite ancora prima, a partire dall’inizio dell’anno. Un’emorragia impressionante che lascia presagire una situazione di crisi economica e finanziaria catalana senza precedenti. Con conseguenze che riguardano innanzitutto la Spagna, ma anche tutta l’Europa a partire dall’Italia.
Calcolando solamente la forza lavoro delle quasi 1700 imprese che hanno trasferito la loro sede legale fuori dalla Catalogna (nel resto ella Spagna), si tratta infatti di almeno 130mila impieghi, 40-50 miliardi di Eruo di produzione e oltre 75 miliardi di capitalizzazione.
Ci sono innanzitutto i 100mila posti di lavoro delle sei imprese quotate nella borsa di Madrid (le banche CaixaBank e Sabadell, la Gas Natural Fenosa, Abertis, Celinex e Colonial) che si sono già trasferite altrove nel territorio spagnolo. A questi, vanno aggiunti gli oltre 25mila posti di lavoro nelle sette imprese del mercato continuo che hanno anch’esse lasciato la Catalogna nelle ultime settimane. Più i 12mila circa delle grandi e medie imprese non quotate (altre cinque). Tutti questi posti di lavoro sono sempre in Catalogna, ma ormai gestiti da sedi direzionali collocate fuori dal suo territorio.
Senza contare le altre centinaia di imprese che hanno trasferito la direzione, dunque almeno 130mila posti di lavoro a futuro incerto quanto meno per l’economia catalana. Posti di lavoro che al momento rimangono in Catalogna, tranne poche decine di unità delle direzioni. Ma che potrebbero, per lo meno in parte, essere dislocati anche fisicamente e in pochi mesi, se non in poche settimane. Da valutare anche eventuali licenziamenti che potrebbero venir fuori da una crisi di queste dimensioni.
La sede sociale altrove non preclude che queste imprese continuino a lavorare e produrre in Catalogna, fermo restando un quadro economico generale senza grandi perdite. Ma con la dichiarazione d’indipendenza e l’uscita automatica dall’Unione Europea, queste 1700 imprese, più quelle che si accoderanno nei prossimi giorni, dovranno decidere, volente o nolente, se spostare o meno la loro produzione nel resto della Spagna al fine di rimanere nel mercato unico europeo.
Inoltre, se l’indipendenza sarà effettiva queste imprese vorranno prevedibilmente evitare i rischi connessi al rimanere in uno “stato” (al momento, più precisamente un territorio) dall’incerto futuro e dall’incerta collocazione giuridica locale e mondiale, nella migliore delle ipotesi. Sempre che l’indipendenza sia effettivamente operante.
Si tratta, già da adesso, di un valore del PIL che arriva a qualcosa come 40-50 miliardi di euro annui. Ovvero poco meno del 4% del PIL spagnolo e non meno del 15% del PIL catalano. Una produzione che rimane in Catalogna, ma che è diretta da sedi al di fuori di essa. Da oggi, senza altri shock dovuti a qualsiasi altro problema, la Catalogna sotto certi aspetti è meno ricca del 15%. Il che è di già un disastro senza precedenti. E che avviene praticamente di botto. Ma vanno aggiunti i grandi rischi finanziari in una situazione incerta, nella migliore delle ipotesi, innanzitutto per chi rimane in Catalogna, ma anche per la Spagna e l’Europa.
In realtà, la situazione dei cittadini residenti in Catalogna è molto più grave. Innanzitutto perché, sia che l’indipendenza della Catalogna sia effettiva (nonostante gli sforzi del governo spagnolo e degli unionisti catalani) sia che non lo sia, altre imprese potrebbero lasciare la Catalogna per lo meno a causa dell’incertezza. A cominciare, forse, dalla Seat con i suoi 17mila posti di lavoro. E, per quanto riguarda le imprese che hanno già spostato la loro sede sociale, questo è già leggibile quale primo passo per spostare anche la produzione, ovviamente con parte o tutti i posti di lavoro annessi e tutto il resto.
Ma questo è ancora niente. Nell’immediato, i posti di lavoro “teorici” e il PIL non sono nulla rispetto alla gravissima crisi costituzionale e giuridica in essere. E che si annuncia pericolosa anche dal punto finanziario e forse anche materiale, ovvero per le necessità giornaliere. La spirale messa in moto dalla dichiarazione d’indipendenza è potenzialmente spaventosa.
Senza fare altri scenari catastrofici (come l’uso della violenza), dopo aver festeggiato e bevuto champagne, i comuni cittadini catalani potrebbero ritrovarsi senza la possibilità di utilizzare appieno il loro bancomat. Potrebbero ritrovarsi anche con limitazioni per i conti bancari, come è successo in Grecia e a Cipro, persino nell’ipotesi di negoziati calmi e di buone intenzioni da ambedue le parti. Su questo pesa soprattutto la fiducia delle banche principali nel sistema spagnolo piuttosto che quello catalano, avendo spostato la propria sede di operazioni altrove in Spagna. In questo modo, le banche hanno contenuto i rischi dal punto di vista giuridico, ma l’incertezza giuridica ed economica non può non pesare sugli aspetti finanziari, complicati dal debito pubblico e privato.
Va da se, che tutto ciò avrebbe conseguenze anche per tutti gli europei, a partire dagli spagnoli. Ma, vista la fuga delle imprese, i primi a pagare con una situazione d’emergenza, di difficoltà, di delusioni, di frustrazioni, e di cose anche peggiori, saranno probabilmente proprio i catalani. Con conseguenze che, si spera, saranno limitate. Posto che si ponga fine a questa follia o si trovi un accordo purchessia.
Un’ulteriore processo d’indipendenza con le migliori modalità, ovvero senza altre complicazioni che è meglio evitare di enunciare, porterebbe comunque a una Catalogna senza le garanzie dei trattati europei in tutti i campi: dall’ambiente alla finanza, dal commercio senza barriere tariffarie alla produzione con adeguati controlli accreditati, e tanto altro. Ciò avrebbe un impatto spaventoso sull’economia, e molto più grande di quello avvenuto finora in special modo all’economia catalana.
A tutto ciò va aggiunta, soprattutto, la prevedibile incertezza nel futuro giuridico dei cittadini spagnoli residenti o semplicemente nati in Catalogna. I quali, in caso di indipendenza effettiva, non avrebbero più un passaporto valido per lo meno per un certo tempo. Con conseguenze ancora più gravi per coloro i quali si trovano all’estero e che, dall’oggi al domani, potrebbero diventare “extra-comunitari” senza passaporto valido.
E qui entriamo in un campo che sarebbe semplicemente dirompente. Se la Brexit ha già prodotto enormi difficoltà, la secessione della Catalogna ne produce di ancora più grandi per le persone che si trovano con una “teorica” doppia cittadinanza o con una “cittadinanza catalana”, non più europea.
Le elezioni in Catalogna, comunque, sono ormai inevitabili. Sia che siano gestite dal governo spagnolo restaurando la Generalitat della Catalogna dopo il voto, sia che siano gestite da uno stato effettivamente indipendente. I catalani, in ambedue i casi, potrebbero togliere molti voti ai partiti indipendentisti e così tornare a una relativa prosperità, oppure confermare un percorso verso un’indipendenza dal futuro incerto, almeno dal punto di vista giuridico ed economico.