
di Daniele Billitteri
Fu così che un giorno qualunque, uno di quelli che non ti ricordi mai se era martedì o venerdì, decisi che mi piacevano le notti brevi. Ma quelle senza la Luna, tronfia e invadente con quel suo sorriso vago e un po’ stupido. Le notti brevi accorciano gli incubi, per dirne una.
Dovete sapere che da qualche parte c’è una specie di GIN, Gestione Incubi Notturni che, in tutta evidenza, ha un quadro completo del tipo di sonno di ciascuno di noi. Se dormi poco o le notti sono brevi come in piena estate, gli incubi sono brevi, taglienti, un’opera lirica senza overture, un racconto senza introduzione.

E questo “taglio” è il più adatto per gli incubi mascherati, quelli che sembrano bei sogni. Arrivano, ti prendono, di circondano, di blandiscono, ti riscaldano, ti eccitano, ti accarezzano, ti dicono cose d’amore. Cosa c’è di meglio, a parte la realtà?
Appunto: il bel sogno getta la maschera quando ti svegli e ti rendi conto che non c’è nessuno in giro, solo il rumore di un tg lontano, noioso, scontato. Ed è così che, nel tuo ricordo, quel sogno diventa un incubo. Perché che altro hai sognato se non la mancanza?
Ma se dormi molto, o nelle lunghe notti d’inverno, gli incubi sono perfino a puntate. Ricorrenti, stizzosi, interminabili. A differenza degli incubi brevi, quelli lunghi non sono mai taroccati ma sono sempre come la trama di un film neorealista in bianco e nero, una sceneggiatura onirica vagamente evanescente più procede verso la fine dove poi i piani si sovrappongono e la trama e l’ordito della tela neorealista diventano un grottesco quadro simile al Giardino delle Delizie di Bosch.

Sogni a parte, le notti brevi non hanno mai il fiato corto perché non hanno il tempo di stancarsi. Ma come fa una coperta così piccola come una notte breve a coprire l’intero Firmamento, i miliardi di stelle grandi e piccole capaci di mostrarci solo la loro gioia e di nascondere il dramma apocalittico che sconvolge la loro vita di fuoco perenne?
Dormo con la finestra aperta e mi piace questa cosa che spesso mi convinco non tanto che non ci siano più le mezze stagioni, ma gli stati di avanzamento del ciclo ofidico della giornata, quello che torna sempre al punto di partenza come un serpente che si mangia la coda.
Certe volte mi sembra che la notte arrivi di botto, come quando finisce un film ma in sala non hanno ancora acceso le luci. Sarà perché dal mio balcone metropolitano non si vedono le albe o i tramonti. E così al mattino ogni tanto ho l’impressione che la luce del giorno esca fuori come una colomba bianca dagli abissi oscuri del cilindro di un attempato prestigiatore.
Diciamo la verità: conserviamo un’atavica paura per le notti lunghe, quando davanti alle caverne si spegneva il fuoco e nel buio restavano occhi pieni di luce delle stelle e di paura. Cioè di Terrore e di Bellezza, che il primo racconta degli assalti proditori di fiere affamate, ma la seconda ci salva e ci fa cittadini dell’Universo.
Li ho visti i tuoi occhi chiusi di notte. Non era per proteggerti dalla luce, ma – mi piace pensare – per fare da dolce prigione a un pensiero d’amore. Come diceva qualcuno, tenera è la notte. Ma se è breve è meglio.
L’immagine del Giardino delle Delizie di Bosch è tratta da Wikipedia. Di Hieronymus Bosch – Galería online, Museo del Prado., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45147809
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