di Benni Galifi
Il racconto della vita della martire catanese Agata, ovvero Sant’Agata, vittima delle persecuzioni cristiane sotto l’imperatore Decio, gravita attorno ai supplizi da lei sofferti per mano del crudele Quinziano, proconsole romano in Sicilia.
In difesa del Cristo al quale si era votata, Agata rifiuta i favori di Quinziano, che voleva farla fisicamente sua, e scatena l’ira del proconsole. A questo punto del racconto si inserisce il celebre episodio del taglio delle mammelle, emblema di femminilità e vita, e del miracoloso intervento di San Pietro che ne risana le ferite. L’inspiegabile guarigione del seno da parte del proconsole, però, decreta il martirio della ragazza: il 5 febbraio del 252.
Tuttavia la storia della grande festa di Sant’Agata affonda le radici in un episodio postumo, datato 1040, e vede protagonisti i resti mortali della Santa che il generale bizantino Maniace, col fine di sottrarli agli arabi, trasferisce a Costantinopoli.
Passati ottantasei anni, nella notte del 1126, le spoglie di Agata fanno rientro nella sua amata Catania a opera di un certo Gisliberto e di un tale Goselmo ai quali la santa, stando alla tradizione, era apparsa in sogno.
Alfredo Cattabiani, storico delle tradizioni popolari, racconta che, arrivata la nave nel cuore della notte del 7 agosto, « i catanesi saltarono dal letto e corsero scalzi verso la spiaggia coprendosi alla bell’e meglio con una tovaglia bianca».
Tutt’oggi, in memoria di quella notte, nei giorni della festa di febbraio, i devoti – che si infervorano al corale grido di “Citatini! Viva Sant’Aiata!” – indossano il sacco, tradizionale livrea composta da camice bianco, cordone stretto in vita, “scuzzetta” (papalina nera), guanti e fazzoletto bianco, sventolato per salutare ed acclamare la Santa.
Il sacco, come altri elementi della festa di Sant’Agata e della sua storia (l’amputazione delle mammelle o il famigerato velo), sarebbe da ricondurre alla figura di Iside. A tal proposito Cattabiani dice: «Durante l’impero romano si era radicato a Catania il culto egizio di Iside, in onore della quale si celebrava il 5 marzo una festa […] Durante la processione un ministro del culto portava fra le mani un vasetto d’oro a forma di mammella» e ancora «Quel velo miracoloso, in cui era stato avvolto il suo corpo dopo la morte, rammenta quello mitico di Iside […] Quanto al sacco è analogo alla bianca tunica degli isiaci».
L’attuale festa di Sant’Agata si apre la mattina del 3 febbraio con la processione dell’offerta della cera alla Santa da parte delle autorità ecclesiastiche e civili.
È probabile che dall’usanza dell’offerta della cera traggano origine le Candelore, grandi cerei (a oggi sono 11) in legno scolpito e decorato con scene del martirio della Santa, che appartengono alle corporazioni di arti e mestieri, condotte a spalla per le vie della città da un numero variabile di portatori (da 4 a 12), seguono il curioso passo conosciuto come annacata (“dondolata”), al suon di marcette allegre eseguite da un corpo bandistico di pochi ottoni.
A sira o tri, la sera del 3, alle ore 20, uno stupendo spettacolo piromusicale misto a luci proiettate e videomapping accende la facciata barocca del Duomo. Al termine, un tradizionale fuoco d’artificio e l’immancabile masculiata vengono sparati dalla attigua villa Pacini. Conclude la serata il concerto di Sant’Agata con l’orchestra del Teatro Bellini.
Alle 5 del mattino successivo, il busto reliquiario della Santa viene traslato dal sacello che la custodisce – celandola alla vista dei fedeli per un anno intero – all’altare maggiore.
Il busto – d’argento dorato – è opera di orafi del Trecento delle officine di Lomoges e del senese Giovanni di Bartololo, mentre la corona d’oro che ne sovrasta il capo fu donata, stando alla tradizione, da Riccardo Cuor di leone.
Al termine della “Messa dell’Aurora”, quindi intorno alle 7, il busto e lo scrigno argenteo che custodiscono le reliquie della Santa vengono condotti verso l’uscita della Chiesa. All’esterno, ad attendere, un’immensa folla di partecipanti – fedeli, curiosi e turisti – che si stringe attorno all’argenteo fercolo – tempietto rettangolare in stile rinascimentale, opera dell’orafo catanese Archifel (1518) – sul quale verranno collocate le reliquie e portate in processione. L’affacciarsi del busto reliquiario sulla piazza è accolto dallo sparo di fuochi d’artificio. Ha così inizio la prima processione, il cosiddetto giro esterno: itinerario più antico che tocca gran parte dei quartieri popolari della città e ripercorre i luoghi del martirio di Sant’Agata.
La pesante vara viene trainata dai devoti per mezzo di due cordoni lunghi più di cento metri i quali, stando a G. L. Danzuso, incarnano «il vero simbolo della Festa […] pensata mille anni fa per mutare tanti individui in una collettività».
La lenta processione – aperta dalle Candelore – farà il suo ritorno al Duomo alle prime luci del mattino seguente, dopo lunghe soste nelle quali Agata verrà omaggiata con lo sparo di fuochi d’artificio (tanto attesi quelli di Piazza Palestro, intorno alle tre del mattino) o in cui il fercolo sosterà per lo scarico della cera donata dai fedeli. La peculiarità vera e propria della festa, infatti, sono i grandi ceri gialli che come ex-voto vengono offerti alla Santa e posti sul fercolo. Tali ceri divengono i veri protagonisti della processione del 5 febbraio che ha inizio alle 17, dopo il consueto sparo dei fuochi. I devoti cominciano la loro vorticosa corsa lungo via Etnea, che diviene tutta un fiume di gente, trasportando sulle spalle le enormi torce accese.
Il giro interno è più recente in quanto venne nei festeggiamenti agatini alla fine dell’800: la processione risale via Etnea e, transitando per via Caronda, raggiunge piazza Cavour attorno alle 5 laddove è previsto lo sparo dei tanto attesi e tradizionali Fuochi del Borgo. Alle 6,30 del mattino la Santa riprende la sua marcia ridiscendendo via Etnea, per far rientro al Duomo nella tarda mattinata di giorno 6, tra gli ultimi instancabili gridi di esultanza: “Semu tutti devoti tutti! Cittadini!Viva Sant’Aiata!”. I momenti più caratteristici della processione che volge a termine sono la salita di Sangiuliano e il canto che le monache benedettine intonano alla Santa durante la sua ultima sosta in via dei Crociferi.
L’interminabile processione non rispetta orari precisi: i devoti, che desiderano ritardare il più possibile il rientro della Santa al Duomo, rallentano spesso l’andamento del fercolo e ne prolungano le soste, così che mai nessuno riesca a prevedere il rientro delle reliquie in Cattedrale o dove la processione sia giunta. A tal proposito la rete, con lo lo slogan “A Santa unni je?!” (“La Santa dov’è arrivata?!”) ha promosso quest’anno un’app gratuita atta a localizzare la posizione esatta del fercolo durante i suoi spostamenti.
Elemento centrale attorno di tutta la festa è il fuoco, simbolo di luce spirituale e di rigenerazione del ciclo vitale. Candele, candelore, ceri e fuochi pirotecnici (sono sette quelli “ufficiali”) segnano i momenti clou della festa, rafforzando il legame tra la Santa, i cittadini e il vulcano Etna.
È forse per l’attualità della testimonianza umana che Agata ci offre o perché è cittadina tra i citatini, «simbolo identitario potente in quanto totem della tribù dei nativi di Catania ( G. L. Danzuso)» se l’amore dei catanesi per la loro Santa riesce ancora oggi, a distanza di secoli, ad attrarre un enorme numero di partecipanti ( si è calcolato un milione).
In una terra come la Sicilia, più volte umiliata e martoriata dalla malavita e dalla noncuranza dei suoi governanti, Agata svetta, in ultimo, in cima a quel lungo elenco di martiri difensori della libertà, della giustizia e della pace. E negli stessi giorni di festa Catania ha commemorato, altresì, Filippo Raciti, morto dieci anni fa ( 2 febbraio 2007) negli scontri tra le Forze dell’ordine e i tifosi etnei in occasione del derby che si giocava col Palermo. Al poliziotto l’Università degli Studi e l’Associazione Libera Impresa hanno dedicato un convegno dall’emblematico titolo “Filippo Raciti – dieci anni – vittime della mafia vittime del dovere”.
Galleria Fotografica (di Benni Galifi)