
di Francesco Randazzo
Le pagine frusciano, rompendo il silenzio della notte, tra gli scaffali serpeggia un fremito un poco ansioso e scricchiolante. Le luci sono spente, è mezzanotte, la libreria è chiusa, eppure pervade le sale un bagliore azzurrino, che in corrispondenza con le vetrine, si mischia con il riverbero dell’illuminazione della strada. Come se venissero da lontano, suoni di parole confuse, voci senza corpi, cicalecci sussurrati e qualche improperio in latino, risuonano, fino ad un’ultima esclamazione, un largo sospiro collettivo, il silenzio e poco dopo, un miagolio. Il primo ad apparire è sempre il gatto di Cartesio. Appare tra i volumi in alto, libri pregiati, dalla copertina in marocchino e caratteri impressi in oro, il più grande è appunto “Discorso sul Metodo” di René Descartes, un’edizione antica, ottocentesca, di non gran valore economico, eppure bella, pregiata, per la fattura, la consistenza delle pagine, le dimensioni importanti, e, non ultimo, il contenuto filosofico.
Da là, ogni notte, allo scoccare dell’ora di transizione da un giorno all’altro, appare un gattone peloso, grigio perla screziato di rosso, gran testone, grandi anche le vibrisse, tanto da sembrar cernecchi ottocenteschi, e due occhi brillanti, uno giallo e l’altro verde. A volte il sinistro è verde e l’altro è giallo, altre volte il sinistro è giallo e l’altro è verde; soltanto nelle notti di luna piena, ambedue gli occhi del gatto di Cartesio, riflettono uno stesso colore, un rosso pulsante come la lava dell’Etna. Questa però non è una notte di luna.
Immediatamente dopo il primo miagolio che rende perentoria la sua presenza, il cangiante felino balza giù a terra, si aggira velocemente tra le sale deserte, controllando che non vi sia nessuno, quindi fa ritorno e salta su una poltrona, dove si accoccola pigramente, dopo aver però miagolato una seconda volta. È a questo punto che di nuovo le pagine frusciano e gli scaffali tremano, le scansie s’inarcano, i volumi barcollano e alcuni di loro cadono, eppure non raggiungono il pavimento, perché a mezz’aria, si trasformano, prendono corpo nelle fattezze e nell’abbigliamento che i loro autori ebbero quand’erano in vita.
Per un bizzarro sortilegio, i libri della Libreria Prampolini, nell’ora obliqua della notte, si trasformano e rendono di nuovo vivi coloro che li pensarono e li scrissero. Mi par di capire che ci sia un certo ordine, e che non tutti compaiano nello stesso momento, ma a turni, si formino gruppi di fantasmi, perché altrimenti la libreria, seppure grande, non basterebbe a contenerli. Si creano incontri e conciliaboli dei più disparati: si possono vedere insieme Giovanni Verga, l’abate Meli, Hegel e Benedetto Croce oppure Leibnitz, Micio Tempio e Goliarda Sapienza. Una volta apparvero contemporaneamente Mario Rapisardi e Pier Paolo Pasolini, si dispiacquero l’uno dell’altro, furono quasi a litigare, ma infine come presi entrambi da una nostalgia per l’esistenza e le passioni del mondo dei vivi, si sentirono accomunati, pur nella disputa, da un uguale sentimento di umanità, di perentorio amore per la vita; li vidi abbracciarsi all’improvviso, pochi secondi prima che sparissero al rintocco dell’una.
Un solo fantasma è sempre presente, ogni notte, qualunque turno sia d’apparizioni, compare ed assiste alle riunioni, ai fortuiti incontri, ai conciliaboli fuori dal tempo, sornione e sorridente come il gatto di Cartesio, Romeo Prampolini, il gran maestro della libreria e del suo incantesimo notturno. Ho sentito dire che sia stato lui, ancora quando era in vita, a dare inizio a queste sarabande di spiriti libreschi. Dicono che una volta rifiutò di vendere un libro pregiato, non per il suo gran valore, che anzi il denaro gli avrebbe fatto comodo, ma perché, così disse al mancato acquirente, quella notte l’autore aveva un appuntamento importante con alcuni suoi cari amici e colleghi, grandemente si sarebbe dispiaciuto se l’avesse mancato per una vile questione di denaro, e lui, Prampolini, aveva dei doveri, quale ospite di così grandi personaggi che gli facevano l’onore di incontrarsi nella sua libreria. Naturalmente al cliente sembrò un po’ matto, ma la storiella circolò per Catania, e ancor oggi tra le anime belle degli scrittori che vivono tra le pagine della libreria, se ne ride, come di qualcosa d’eccentrico, uno scherzo sottile del padrone di casa alla stupidità materialistica di quel vecchio cliente, ormai morto e mai più apparso in alcun dove.
A nessun cliente è data grazia di far parte dell’incanto fantasmatico. Soltanto gli autori dei libri e qualche lor traduttore (ma solo i più bravi), nemmeno nessun editore, e nemmanco un tipografo. Alcune piccole eccezioni, però, nel corso del tempo sono avvenute. A volte appare, come fosse appena uscita da una tela di Boldrini, una bella signora, alta, dalla pelle diafana, elegantemente abbigliata in stile primi del Novecento, la quale, dicono, vergò i margini di un libro d’idraulica, con una poesia d’amore talmente bella da spodestare l’ingegnere idraulico e dotto professore che era l’autore del noiosissimo tomo originario. Ancora, talvolta, un giovanetto tredicenne, che morì prematuramente per cause che al tempo suo furono inesplicabili, appare a ravvivare le serate di filosofi e matematici; anche lui su un libro aveva segnato un appunto, qualcosa che resta ancora un mistero, ma che lui, quasi per gioco, aveva risolto, scarabocchiando in una formula, e purtroppo non si sa in qual volume l’abbia fatto, la spiegazione, semplicissima peraltro – così lui afferma – della sequenza di Fibonacci.
Infine ci sono io, che qualche sospetto di un aldilà letterario l’avevo avuto anche in vita, che non sono più di questo mondo dal quale mi leggete, ma che proprio grazie a questi fogli che state leggendo, che scrissi e nascosi in un volume polveroso, e che a volte appaiono anche tra le pagine di qualche altro libro, grazie alla mano sorniona di Prampolini che li sposta, li fa leggere a qualche casuale lettore che spulcia libri e allo stesso modo li fa risparire, mi sono guadagnato un posto tra tutti questi libri e i fantasmi dei loro autori. Non mi è concesso dirvi il mio nome, né null’altro di me, se non che in tanta confusione e polvere di libri, mi son trovato benissimo sia da vivo che da trapassato.
Un’ultima cosa, non temiate di comprar libri per timore d’interrompere le apparizioni, esse avvengono pur sempre nella vostra immaginazione di lettori, ovunque portiate il libro; e infine, c’è sempre una copia che torna qui, alla libreria Prampolini, di un’altra edizione, dello stesso libro, e con lui il suo autore, come un richiamo immancabile ad un appuntamento tra gli scaffali, tra amici di penna, carta e rilegatura.
© Francesco Randazzo
Questo racconto, con il titolo “Notturno Prampolini” è stato scritto su invito della Libreria Prampolini e fa parte di una serie di storie scritte da autori amici di questo storico luogo di cultura catanese.
Nel testo, René Descartes in un ritratto di Frans Hals (1649). Di Dopo Frans Hals (1582/1583–1666) – André Hatala [e.a.] (1997) De eeuw van Rembrandt, Bruxelles: Crédit communal de Belgique, ISBN 2-908388-32-4., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2774313