di Mila Spicola
Dopo il faccia a faccia tra D’Alema e Gentiloni alla Festa dell’Unità di Catania, sta passando sulla stampa e sui social il nome di Concetto Marchesi insieme all’affermazione di D’Alema secondo cui il suddetto Marchesi, padre costituente del PCI, avrebbe votato No alla Costituzione, dando prova di autonomia e indipendenza.
Vero è che la stampa ha riportato in modo improprio la citazione, il compagno Massimo ha più correttamente detto che Marchesi votò contro un articolo, il 7. Cosa vera ma, intanto lo ha detto con quel senso di compiaciuta comunanza “io voto no come Marchesi, se lo ha fatto lui posso farlo anche io, come spiriti indipendenti dal Partito”. E, sulla stampa, che prende e rimbalza col senso vero e non con le parole dette, quel No puntuale a un articolo si è trasformato in un No indistinto e totale alla Riforma. Beh, no, lo dico io. Abbiamo il dovere dei distinguo. Lui votò Sì. Concetto Marchesi votò Sì.
E votò sempre secondo la linea dettata dal PCI, cioè da Togliatti, prima, durante e dopo la guerra. Chi sceglieva posizioni indipendenti allora veniva allontanato dal Partito. Ad esempio Altiero Spinelli, che fu espulso proprio durante il confino a Ventotene: Spinelli, che poi divenne capo del Partito d’Azione nella Costituente e che oggi ricordiamo come uno dei padri dell’idea di Europa.
Se il No all’art.7 non fosse stato concordato con Togliatti, Marchesi sarebbe stato fuori dal partito. “Meglio sbagliare dentro il partito che avere ragione fuori dal partito” diceva Togliatti. Era giusto? Era sbagliato? Era così. Il compagno D’Alema, che legge tanti libri dovrebbe avere maggiore accortezza e raccontarla per intero, senza scorciatoie, la nostra storia complessa.
Va dunque ribadito: Concetto Marchesi non votò affatto contro la Costituzione. Guai a pensarlo, peggio a dirlo, pericoloso a suggerirlo. Votò, su permesso di Togliatti, contro uno specifico articolo di essa: l’articolo 7 che regolava i rapporti tra Stato e Chiesa riconoscendo i Patti Lateranensi del 1929. Marchesi fu un artefice della Costituzione, è l’autore insieme a Moro, degli art. 33 e 34 sulla scuola, per dire.
Togliatti, stalinista soprattutto allora, non avrebbe mai tollerato un dissenso dichiarato e avallò il voto “indipendente” di Marchesi. Anzi, lui stesso autorizzò Marchesi a votare No all’art. 7: gli serviva.
Inizialmente il Pci era allineato sul votare no all’art. 7, Il voto a favore fu una decisione di Togliatti, non discussa, né dentro il PCI, né tra le forze della sinistra di allora, decisione presa da solo. La posizione del Pci, dei socialisti, degli azionisti (gli azionisti di Spinelli erano laici) e dei liberali, con Benedetto Croce, fino a quel momento era stata un’altra: annullare i patti del ’29 e riscrivere il concordato con la Chiesa.
Togliatti decise, all’improvviso, di cambiare la posizione del Pci. E comunicò che il Pci avrebbe votato sì con la DC all’articolo 7 che riconosceva i patti lateranensi. Così: senza riunioni e confronti preventivi e con sorpresa preoccupata di tanti, tra cui Calamandrei, Croce, lo stesso Marchesi, il Psi, tutta la sinistra non comunista, cioè gli azionisti e dei liberali.
Togliatti non era ammattito: scelse di mediare con la Dc per non rompere il dialogo che si stava mettendo in pericolo. La gerarchia ecclesiastica infatti avrebbe tolto l’appoggio alla DC se l’art.7 non fosse stato approvato. Ci fu sconcerto nel PCI, Togliatti autorizzò il solo Marchesi a votare no all’articolo 7. Lo autorizzò giustificandolo con ragioni di “principio” (oggi diremmo di coscienza) e per non alienarsi del tutto la parte liberale e laica con la sua decisione improvvisa. Tutti gli altri, tutti, votarono sì. Ma L’articolo 7 non era tutta la Costituzione.
Dunque attenti a tirarlo in ballo oggi senza l’opportuno racconto completo della storia. Riguardava davvero una questione in un certo senso formale: tutti volevano il Concordato con la Chiesa, Sinistra e liberali contestavano solo il testo dei Patti del ’29 firmati con Mussolini. Lo contesto anche io oggi. Non si volle toccarli, non si vuole toccarli. Erano un testo superato allora figurarsi oggi, ma è altro il tema.
Togliatti dunque autorizzò Marchesi a votare No, il quale non avrebbe mai e poi mai agito in contrasto con il PCI e contro Togliatti. Ad esempio è d’obbligo ricordare che Togliatti decise sotto Mussolini che dentro le Università i professori ordinari del PCI firmassero fedeltà al fascismo: per non essere licenziati e perché secondo il PCI l’opera e la presenza di quegli accademici era necessaria nelle università per mantenere un contatto coi giovani. Era il 1931, firmò con dolore anche Concetto Marchesi, che era professore autorevole e poi rettore di Padova, per non dire no al PCI e a Togliatti. Firmò anche Calamandrei. Firmarono tutti.
Furono solo 12 i professori ordinari in tutta Italia a non firmare, tra essi il liberale siciliano Borgese, che era stato il grande maestro di Eugenio Colorni, uno degli estensori del Manifesto di Ventotene. Tutto torna. I professori comunisti firmarono fedeltà al fascismo, a malincuore e su ordine del partito.
Ma non solo, sempre Marchesi, grandissimo uomo e intellettuale italiano del Novecento, avallò anni dopo con Togliatti la repressione di Praga. Non era concepita autonomia nel PCI di Togliatti. Era giusto? Era sbagliato? Era così. Sull’ art.7, il caso del No per Marchesi non fu segno di indipendenza, ma di “coerenza simulata”, fu dunque poca roba, rispetto ad altri bocconi amari; una piccola manifestazione, stavolta all’inverso, della scaltrezza politica togliattiana.
In questo caso acuta e ponderata: sarebbe stato pericoloso dividere l’Assemblea sul tema delicato del rapporto con la Chiesa. Togliatti aveva ragione. Facendo votare No a Marchesi, un fedelissimo esponente del Pci, manteneva un ponte con la dissidenza liberale e socialista sull’articolo 7. Anche se l’aveva, in effetti, bistrattata quella dissidenza, eliminando il confronto su quel tema.
Marchesi, dal canto suo, intimamente era soddisfatto, si scostava dal voto di un emendamento della Dc, non da Togliatti, né, tantomeno, si scostava dalla Costituzione che lui stesso contribuì a scrivere in tante parti. Palmiro Togliatti rimase sempre suo amico personale ed estimatore culturale: sarebbe stato lui, nel dicembre 1947, a suggerire al presidente della Costituente Terracini una pausa dei lavori dell’Assemblea, prima della votazione finale della Costituzione, affinché proprio Marchesi avesse due settimane di tempo per dare una revisione finale, sotto il profilo della pulizia linguistica e della coerenza sintattica e stilistica, al testo della Costituzione della Repubblica italiana.
Nessuno mai definì Marchesi servo di Togliatti. Né allora né adesso. Era giusto? Era sbagliato? Era così. Altro che votare No alla Costituzione, come sto leggendo nei titoli di troppa stampa e sui profili di troppi in queste ore. Attenti, carusi. Dico a D’Alema: Marchesi non promosse campagne per il No che andavano contro la posizione ufficiale del suo partito. Né combatté la Costituzione come ha fatto sapientemente credere D’Alema dicendo poco; quella Costituzione la scrisse.
Era uno stalinista convinto che, per linea di partito aveva dovuto persino accettare compromessi professionali col fascismo. D’Alema oggi compie un atto legittimo, certo, ma di verso opposto, non sta criticando un articolo della riforma, ma la sta rifiutando tutta, per posizionamento personale (lui che tuona contro la personalizzazione). Ripeto, legittimo, e si pone anche contro la stessa elaborazione storica sul tema della sinistra e del suo Partito. È giusto? È sbagliato? È così.
Il mio personale commento è: che gesto è questo di D’Alema? Scaltrezza togliattiana forse, ma va rivelata. Si è preso gli applausi delle anime disinformate. Catanesi in buona fede che hanno malinteso la memoria di un loro grande concittadino conoscendone poco la storia, le azioni e i pensieri, ammaliati dalla retorica abile di un politico di razza sì, ma in questo caso strumentale.
E allora avrei chiesto io e chiedo a D’Alema: a che proposito citi Marchesi? Per la sua indipendenza o per la sua dipendenza totale da Togliatti? Grandissimo uomo, intellettuale, politico e accademico, fu grande anche per questa sua coerenza totale dentro la linea del partito certo, ma forse, tu, compagno intendevi altro? O vogliamo approfondire forse quella forma-partito? O vogliamo parlare dell’ipocrisia opportuna o opportunistica che a volte viene in soccorso alla Storia come alle storie, spero non la tua? Di cosa stiamo parlando esattamente citando la vicenda dell’art.7, compagno D’Alema? Di adesione o meno alla linea?
Concetto aderì sempre, tu, legittimamente, non hai nemmeno sostenuto il candidato sindaco del Pd a Roma, Giachetti, tra l’altro uscito dalle primarie non da un’indicazione di vertice. Legittimamente avrai sostenuto non so chi, la Raggi? Adinolfi? Chissà; certo non Giachetti.
A me sembra che si stia facendo di tutto tranne che rimanere nel merito della Riforma Costituzionale. E allora rimaniamo nel merito e non muoviamoci da quello, confrontando le ipotesi e le tesi, con argomenti appropriati e aderenti, però. Il merito sarebbe una tua “proposta semplice” di tre punti soli? Attenti però a confondere il semplice col semplicistico. Per ogni domanda complessa esiste una risposta semplice, ed è sbagliata. Diceva George Bernard Shaw.
E a me, appare semplicistica più che semplice, soprattutto per la comparsa addirittura di una “terza vasca”, la camera di conciliazione, che rischia di essere il terzo impantanamento del procedimento legislativo. In realtà non vorrei che lo scopo fosse quello di un ennesimo impantanamento della Riforma che di discussione in discussione va avanti da settanta anni settanta.
Non innamoriamoci delle discussioni ma delle decisioni. Siamo un partito d’azione o di parole? A voi, miei ex-alunni, che mi state chiedendo, dico: Studiate, studiate, studiate e organizzatevi. Non rimante fermi alle mie posizioni, né a quelle del compagno D’Alema, né a quelle di altri. Studiate e fatevi la vostra. Ma che sia aderente alle idee e non alle parti. La casa di lu currivu (ripicca) produce mostri se dimentica la Storia o se ve la racconta a pezzi.
Foto in copertina: Assemblea Costituente Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1099332
Foto di Massimo D’Alema tratta da Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_D%27Alema#/media/File:Massimo_D%27Alema_ONU.jpg
Concetto Marchesi nel testo, tratta da Wikipedia. Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2685872
Immagine di Palmiro Togliatti tratta da Wikipedia. Di sconosciuto – L’Espresso, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32676721
Composizione Assemblea Costituente: Di Tano-kun di Wikipedia in italiano, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8783880
Marchesi fu così ortodosso che non ebbe remore a scrivere quel pesantissimo articolo contro l’amico Giovanni Gentile, che durante il fascismo l’aveva peotetto dal regime, a cui si riconduce la condanna a morte del filosofo di Castelvetrano.