di Anna Fici
Domenica 5 giugno, si è chiusa a Palermo la sesta edizione del Sicilia Queer Filmfest che, insieme ad altre manifestazioni, quali ad esempio il World Festival on the beach di Mondello, rappresenta oramai per la popolazione palermitana un appuntamento fisso a cavallo tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate.
Ospitato negli ultimi tre anni dai Cantieri Culturali alla Zisa, si presenta come un vero e proprio momento di ritrovo e di confronto, con spazi anche ludici dedicati ai più piccoli e punti di ristoro e di chiacchiera all’aperto per gli adulti. Tra film corti e lunghi, in concorso e fuori concorso, e momenti dedicati al teatro, come ad esempio la proiezione dei materiali inediti con cui si è ripercorsa la vicenda umana e teatrale di Franco Scaldati a tre anni dalla sua scomparsa, il programma si è presentato ricco e vario.
Il termine inglese “Queer”, derivato a sua volta dal tedesco “Quer”, è entrato nel linguaggio comune a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, ed offre un’intera corolla di significati: indica, in un senso più debole e superficiale, tutto ciò che può comunemente essere considerato eccentrico. In una accezione più profonda allude a tutto ciò che si pone di traverso, che attraversa cioè le categorie consolidate, rompendo gli schemi e suscitando reazioni.
Le prime edizioni del Sicilia Queer Filmfest, hanno proposto un programma più orientato all’uso comune che si fa di questo termine in Italia, ovvero di parola allusiva all’universo LGBT (lesbiche, gay, bisex e transessuali). Ma quest’anno i temi trattati hanno avuto più ampio respiro, come era anche stato preannunciato dall’organizzazione, con la promessa di un festival più a vocazione popolare.
La sezione #NUOVE VISIONI, che ha ospitato i sei lungometraggi in concorso, ha proposto temi tradizionalmente collegati alle problematiche correlate a chi vive una sessualità trasversale, come pregiudizi sociali, difficoltà di crescita in famiglia e di passaggio dall’adolescenza all’età adulta (come in HENRY GAMBLE’S BIRTHDAY PARTY di Stephen Cone), genitorialità difficile (come in NASTY BABY di Sebastián Silva), solo per citarne alcuni.
Ed anche la sezione #QUEER SHORT, ha felicemente coniugato il tema della sessualità a temi come il viaggio, la diversità culturale in senso ampio, (come nel caso di Funny Boys di Marina Bertino, che affronta l’omosessualità in Sry Lanka ripercorrendo i luoghi e le atmosfere del romanzo di Shyam Selvadurai, del 1994, dal titolo appunto Funny Boy); o al problema delle differenze di classe che pesano sull’accettazione dell’omosessualità (come nel caso del cortometraggio indonesiano The Fox Exploits the Tiger’s Might di Lucky Kuswandi).
Ma tra le tante “visioni” proposte, quella che meglio ha interpretato la vocazione “più popolare” del festival è un bellissimo film documentario, Roma Termini (2014) di Batolomeo Pampaloni, classe 1982, presentato fuori concorso nel pomeriggio del 31 maggio scorso. Nell’affrontare il tema dei tanti senza tetto che gravitano intorno alla Stazione Termini della capitale, il giovane regista intreccia con grandissima sensibilità le storie di quattro non personaggi ma persone reali, con le quali ha stabilito una straordinaria empatia e che, sposandone il progetto, hanno accettato di raccontare alla macchina da presa la propria caduta.
Per alcuni di essi la caduta sociale è stata rapida e fragorosa ma, al di là delle storie individuali, tutte significative e rappresentative dei mali di una società iperaccelerata e alienata qual è oramai la nostra, quello che colpisce in questo film è la capacità d’uso del linguaggio cinematografico. Davvero straordinaria per un film senza troupe, interamente realizzato dal suo ideatore e regista. I sapienti e delicati “giochi di fuoco”, ovvero i passaggi dal fuoco allo sfocato, dei visi, delle mani, dell’ambiente, guidano lo spettatore e ne gestiscono l’attenzione. La macchina da presa stabilisce con il pubblico un vero e proprio contatto magnetico che ha fatto ottenere a Pampaloni già nel 2014 una menzione speciale al Festival del cinema di Roma.
Momento clou della manifestazione è stata la proiezione, a quarant’anni dalla sua presentazione a Cannes, del film Novecento, Atto I e II di Bernardo Bertolucci, preceduto dall’arrivo al festival della bella ed elegante Domenique Sanda (nel film, Ada moglie di Alfredo, a sua volta interpretato da un giovanissimo De Niro). Il film è stato probabilmente scelto dalla direzione artistica (Andrea Inzerillo, coadiuvato dall’efficientissima Tatiana Lo Iacono) perché affronta alla radice la genesi delle diversità e la loro gestione nell’arco di tre generazioni. La Sanda ha raccontato momenti di quel grande set, del proprio rapporto con Bertolucci, De Niro, Depardieu e Lancaster, della consapevolezza che aveva già allora di star partecipando ad un film destinato a diventare epocale.
Insieme a Dominique Sanda, il festival ha ospitato Lionel Baier, regista che in molti considerano il legittimo erede di Trouffaut, di cui è stata presentata una retrospettiva. In giuria, Valérie Donzelli, Victoria Schulz, Giorgio Vasta, Roy Dib e João Ferreira, a conferma della vocazione internazionale del festival.
Alla sesta edizione, il festival ha potuto contare su un discreto successo di pubblico. Ma a fronte di una società che sta rapidamente modificando gli atteggiamenti verso il “diverso”, ma che è caratterizzata ancora oggi da ampie sacche di arretratezza culturale, c’è da augurarsi che la vocazione al dialogo con la società tutta cresca di anno in anno tra gli organizzatori e che questo appuntamento annuale si trasformi sempre di più in un momento di festa e di incontro, in cui l’esperienza artistica non sia oscurata dalla particolarità dei temi trattati. La conclusione, domenica sera, ha reso pubbliche le seguenti premiazioni:
La giuria internazionale ha deciso di premiare come miglior cortometraggio MAMMA VET BÄST (Mikael Bundsen / Svezia 2016 / 13′). Nelle motivazioni: “Attraverso la sua radicale e semplice messa in scena strutturale, e una trama molto solida, il film riesce a portare avanti un nuovo approccio alla classica storia di coming-out spostando le tensioni in modo sorprendente e contemporaneo.”
La giuria ha inoltre deciso di assegnare una menzione speciale a AMA, corto realizzato da un gruppo di studenti della Scuola Goeblins di Parigi (E. Almaida, L. Huang, M. Kamari, J. Robert, J. Peuportier, T. Unser / Francia 2015 / 3′) per aver scelto di raccontare con l’animazione una storia ben fondata e poetica sul desiderio.
La giuria ha deciso all’unanimità di assegnare il Premio Nuove Visioni a DE L’OMBRE IL Y diretto da Nathan Nicholovitch (Francia 2015 / 105′). Cone le seguenti motivazioni: “Sfidando i confini tra finzione e documentario, il film porta lo spettatore in un altro mondo, seguendo la storia di Ben nel complesso contesto sociale e politico di Phnom Pen. Il film riesce ad esplorare un rapporto intergenerazionale, come lo è quello fra i due personaggi, Ben e Panna, che impareranno a prendersi cura l’uno dell’ altro, senza mai mettere in discussione la propria identità.”
La giuria Palermo Pride ha premia per NuoveVisioni NASTY BABY di Sebastián Silva. Per QueerShort PINK BOY di Eric Rockey che è stato premiato anche dal voto del pubblico.
Foto in copertina, nel testo e nella galleria, di Anna Fici.
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