
Giorgio Verdelli
di Salvo Pistoia
Raccontare e raccontarsi. Questo è il tutor su cui si sostiene Giorgio Verdelli, radiofilo, fomentatore di blues, e da qualche tempo autore di successo televisivo grazie alle monografie cesellate come un fine artigiano per “Unici”, su Rai 2. Gli inizi, tra infiniti scaffali di dischi, parlano di radio e serate organizzate in quella Napoli che, anche sotto questo punto di vista, è stata di una fertilità unica in quella stagione delle antiche radio libere, forse alla pari di Bologna.
Ascoltarlo corrisponde ad un viaggio senza retorica e stanchezza. Perché, più che mai, la musica ha bisogno di essere raccontata: nei tempi, nelle modalità, nelle atmosfere, leggendo le straordinarie gesta di alcuni protagonisti contemporanei.
Come inizia l’avventura Verdelli?
Un ragazzo che acquistava e ascoltava dischi, affascinato dall’onda proveniente da oltre manica e oltre oceano, con l’energia racchiusa in quei solchi. Poi la radio, come tutti noi, in quel periodo, siamo rimasti avvinghiati e affascinati dall’idea della radio libera, e per libera intendo far fruire la musica senza schemi, orari e scalette preordinate.
Quindi il tempo in cui nasceva il periodo d’oro della Napoli contemporanea…
Senz’altro. Suonavo i miei dischi in un locale che si chiamava Pentotal, dove periodicamente si esibivano giovani che tentavano di farsi notare. Cercavano le luci della ribalta, tra questi i Saraceni, un gruppo con Massimo Troisi, Lello Arena, Enzo De Caro ed una ragazza che cantava.
Avrai visto parecchi giovani crescere a dismisura.
Era il momento dell’esplosione di Napoli Centrale, la creatura di Napoli Centrale, in cui presenziava Pino Daniele, che suonava il basso.
Nel tuo caso, la musica da passione si è trasformata in professione. Come si realizza questo passo?
Non ho nessuna ricetta da suggerire o indicare. Tutto è avvenuto per coincidenze o circostanze, per la volontà infinita che ho avuto nel perseverare, insistere fin da quando mi presentai ai provini che la Rai sottopose a vari conduttori che venivano dalle radio locali per creare i palinsesti di StereoUno, Stereodue e Stereonotte. Probabilmente sono passato nel posto giusto al momento giusto.
I buoni risultati ottenuti da Unici a cosa sono dovuti?
La rete mi ha concesso l’opportunità di sviluppare un’idea intorno alla musica. A parte i protagonisti che sono dei personaggi “unici”, c’è il gioco di squadra con cui realizzo queste monografie e il desiderio di raccontare la “musica” o i personaggi. Intorno alle arti visive o sonore non esiste più la narrazione, tutto avviene in maniera sommaria, oserei dire “dozzinale”.
Il calo degli ascolti tv e radio è dovuto anche a questo fattore?
Probabilmente. Noto con grande amarezza che ascoltare una stazione radio corrisponde ad averle ascoltate tutte. Programmazione piatta e uniforme.
L’intervista che conserverai nel tuo archivio?
Tante. Non posso fare un distinguo. Tranne ricordare Pavarotti, Lucio Dalla, lo speciale su Pino Daniele, Vasco Rossi. E altre che non ho avuto spazio e tempo per lavorarle e che quanto prima tirerò fuori, vedi Pete Townshend leader storico degli Who, o Joe Strummer dei Clash.
E l’intervista da realizzare?
Quella impossibile. Il sogno incompiuto si chiama John Lennon, e tale rimarrà.
Giorgio Verdelli ha appena pubblicato un nuovo libro insieme ad Antonio Tricomi, dal titolo “A noi ci piaceva il blues… ovvero tutte le strade portano a Memphis” (Reality Book Editore), presentato ieri sera a TG3 Linea Notte “L’idea di questo disco nasce dalla dolorosa scomparsa di Pino Daniele, ma anche di altri della sua generazione – ha detto durante la trasmissione – perché ci siamo resi conto che in qualche modo era finito un ciclo. E dall’esigenza di raccontare la mia musica modello, il blues che è uno stato d’animo. Ci piace pensare che il blues significa anche tristezza, e la grande musica nasce sempre da una grande tristezza e una grande gioia”.