di Юлія Яскравий
Potrebbe sembrare uno scenario fantascientifico tratto da un romanzo di Isaac Asimov, eppure sembrerebbe essere proprio la zona dell’Artico, comunemente conosciuta come “il Polo Nord”, il teatro futuro delle strategie e degli equilibri geopolitici tra USA e Russia in materia di sicurezza e approvvigionamento energetico.
La notizia di R. Browne, corrispondente della CNN (http://edition.cnn.com/2016/01/18/politics/icebreaker-russia-us-arctic/), ripresa in seguito anche da altre fonti come il KyivPost (http://www.kyivpost.com/article/content/russia/cnn-coast-guard-seeks-billion-dollar-icebreaker-as-russia-makes-arctic-push-406180.html), afferma infatti che l’Autorità della Guardia Costiera degli Stati Uniti abbia richiesto che la flotta statunitense di navi rompighiaccio situate nell’Artico venga aumentata di un’unità, in modo da iniziare ad essere competitivi in un’area geografica dove il presidio russo, non solo di carattere scientifico ma anche militare, è sempre più determinante.
Sebbene non sia una notizia di primo piano ripresa dalle agenzie di stampa europee, in realtà già durante il periodo estivo 2015 diverse fonti e testate autorevoli, tra tutte il WSJ (http://www.wsj.com/articles/in-the-race-for-arctic-energy-the-u-s-and-russia-are-polar-opposites-1440542608) e FT, riportavano notizie relative alle attività di esplorazione ed eventuale estrazione off-shore di petrolio, sottolineando il coinvolgimento per l’estrazione di petrolio di compagnie energetiche quali ad esempio Shell, Gazprom, China National Petroleum Corp., Sinopec, China National Offshore Oil Corp e il conseguente protagonismo di potenze come Cina e Russia. Proprio la stessa CNN, intervistò Artur Chilingarov, Consigliere del Presidente russo per l’area dell’Artico, che in quell’occasione ha rivendicato l’appartenenza di quell’area dell’Artico al territorio nazionale russo, e negando la presenza di un intervento di natura bellica da parte della Russia, nonostante l’evidente militarizzazione dell’area. (http://edition.cnn.com/videos/world/2015/08/31/russia-arctic-ambition-chance-pkg.cnn, fonte CNN, 31.08.2015).
Sullo scacchiere geopolitico odierno è evidente che la Russia vuole intenzionalmente agire come una “regina” sulla scacchiera, ovvero muovendo in tutte le direzioni, e giocando così una partita su più fronti, geograficamente anche differenti tra loro – dalla presenza nell’Ucraina dell’Est, alla dichiarata lotta all’ISIS nel Medio-Oriente, con il sostegno al regime di Assad in Syria – con il fine non solo di apparire all’opinione pubblica come interlocutore politico credibile a livello internazionale, ma soprattutto per espandere la propria influenza e presidio su terreni “ricchi” di risorse energetiche.
Non da ultimo la frontiera dell’Artico, territorio ancora in fase esplorazione per le sue riserve off-shore di petrolio e gas, e possibile scenario futuro, ancora in fase di studio e ricerca scientifica da parte di diverse compagnie internazionali del settore energetico.
Ed è proprio questa volontà di espansione russa ad aver fatto suonare il campanello di allarme da parte di alcuni vertici americani. In effetti già nel lontano ormai 2007 un sottomarino russo piantò una bandiera sui fondali dell’Artico, un’iniziativa che venne vista già allora come una rivendicazione di sovranità su quell’area. (*)
E nonostante la dichiarazione della Casa Bianca dello scorso settembre 2015, in seguito ad una visita del Presidente Obama in Alaska, in cui si affermava la proposta di accelerare l’acquisizione di una nave rompighiaccio sostitutiva entro il 2020, per garantire agli Stati Uniti la possibilità di operare nelle acque dell’Artico per un periodo continuativo nell’arco dell’intero anno, ad oggi questa necessità viene sollecitata da altre figure istituzionali, come la Sen. Lisa Murkowski, in vista di sviluppare una strategia nell’area dell’Artico per contenere anche le minacciose mire espansionistiche russe. Una richiesta a quanto pare necessaria, anche perché come la stessa Casa Bianca ha evidenziato nelle dichiarazioni dello scorso settembre, la Russia opera nelle acque dell’Artico con una flotta di ben 40 rompighiaccio; numeri ben diversi da quelli della flotta americana che contava solo 7 navi rompighiaccio nel secondo dopo guerra; numero sceso successivamente a due sole unità, di cui una era la Stella Polare-USCGC: una nave rompighiaccio di tipo pesante, di 399 piedi di lunghezza, commissionata nel 1976.
Per affrontare la questione, il CSIS-Center for Strategic and International Studies ha organizzato lo scorso 13 Gennaio una conferenza presso la sede di Washington DC, invitando diversi esperti a relazionare sul tema (http://csis.org/event/national-security-challenges-and-icebreaking-operations-arctic), tra cui la Sen. Lisa Murkowski (Alaska, Repubblicana), il Sen. Angus King (Maine, Indipendente, ex affiliato dei Democratici), l’Ammiraglio Paul Zukunft (Comandante della Guardia Costiera USA) e l’Amm. Mark Ferguson (Comandante della Marina Americana per la flotta navale americana in Europa). La proposta finale a seguito dei vari interventi è stata la richiesta al Governo americano di una nuova nave-rompighiaccio dal costo di un miliardo di dollari, un vero e proprio sollecito che però comporta anche un impegno economico. In particolare proprio i due senatori hanno sottolineato la disparità di forze tra l’attuale flotta americana e quella russa, e la necessità di avere una nuova unità anche per far fronte all’attività sia militare che commerciale condotta dalla Russia nelle acque dell’Artico: “mentre noi facciamo una gran fatica per aggiungere un’unità alla nostra flotta… I russi ne stanno già costruendo 14”, ha chiosato la Sen. Murkowski.
Interessanti anche le considerazioni di tipo strategico dell’Amm. Zukunft e dell’Amm. Ferguson: il primo ha lanciato l’avvertimento che la Russia stia di fatto militarizzando l’Artico con l’intento di provocare una (eventuale) guerra, avendo condotto senza preavviso esercitazioni militari che hanno coinvolto numerose truppe; l’Amm. Ferguson si è soffermato, invece, su un’analisi più strategica e analitica in merito alla presenza russa nell’Artico, facendo notare come l’attività sottomarina russa abbia ad oggi raggiunto l’apice nell’arco degli ultimi 20 anni. Sempre Ferguson ha provato poi a spiegare la strategia di espansione attuata dalla Russia nelle acque dell’Artico facendo un paragone con il caso di strategia militare della Cina e della 9-dash line: “La Russia – ha affermato l’Amm. -sta osservando e studiando l’azione strategica che la Cina, entro i limiti della 9-dash-line (**), conduce nelle acque meridionali e orientali dell’area marittima su cui la stessa Cina affaccia, in modo da avere un modello da replicare per definire l’aspetto della piattaforma continentale nelle acque dell’artico, e poter così rivendicare e dichiarare la propria sovranità legittima.”
Sicuramente Obama non trascurerà il ruolo degli Stati Uniti in questa regione che a livello internazionale non è ancora sotto i riflettori dei media, rispetto a molte altre aree dove sono in corso dei veri e propri conflitti, ma che sicuramente merita attenzione da un punto di vista strategico anche in materia di sicurezza energetica. E’ doveroso aggiungere che le tecniche di estrazione off-shore di gas e petrolio ad oggi richiedono costi decisamente elevati, nonostante la fase continua di ricerca scientifica ad oggi portata avanti dalle varie compagnie energetiche coinvolte nello studio di tecniche di estrazione all’avanguardia. Inoltre in seguito alla Conferenza di Parigi COP21 dello scorso dicembre, gli Stati Uniti e lo stesso Obama dovranno certamente affrontare la questione una questione di etica ambientale, visto il forte impatto prodotto dalle trivellazioni sui fondali dell’Artico e di conseguenza sull’ecosistema della regione.
Certo è che altre superpotenze come Cina e Russia, che ha addirittura militarizzato un’area molto estesa per rivendicarne una sovranità territoriale, ad oggi non sembrano avere alcun scrupolo in merito all’etica ambientale. In particolare la Russia ha tutto l’interesse per rivendicare una sovranità territoriale per le aree occupate, per avere un controllo militare che potrebbe tornare utile in futuro, mettendo strategicamente sotto tensione anche altri stati coinvolti nella regione dell’Artico come Canada, Norvegia e Danimarca attraverso la sovranità della Groenlandia: tutti Paesi che appartengono all’alleanza NATO.
Sicuramente, visto la crescente importanza sui temi di sicurezza e indipendenza energetica, la regione dell’Artico sarà un tema che il prossimo cambio di presidenza alla Casa Bianca dovrà guardare con attenzione e lungimiranza, sia da un punto di vista militare e strategico che sicuramente anche ambientale.
(*): “[…]Il carattere internazionale dei fondali ricadenti sotto il Polo Nord è diventato di attualità quando nel 2007 un sottomarino russo a propulsione nucleare vi ha piantato una bandiera nazionale a significare una possibile rivendicazione di diritti sovrani. […]” (“Elementi di Diritto e Geopolitica degli spazi marittimi”, di F. Caffio, N. Carnimeo, A. Leandro, Cacucci Editore, 2013, p. 143)
(**): “La nine-dash line si riferisce alle acque territoriali rivendicate dalla Cina, che si estendono per centinaia di miglia a sud e ad est della provincia dell’isola di Hainan. Queste rivendicazioni di sovranità da parte della Cina sono state contestate da altri Stati confinanti, tra cui Filippine, Taiwan, e Vietnam. Per rafforzare la propria rivendicazione di sovranità, la Cina sta procedendo costruendo isole artificiali, dotando alcune di queste con aeroporti”.