di Pasquale Hamel
Il caso o, se si vuole, un disegno provvidenziale fece nascere Luigi Pirandello in terra di “Girgenti”. I genitori del grande drammaturgo, Stefano e Caterina-Ricci Gramitto, nell’imminenza della nascita, per sfuggire all’epidemia di colera che infestava i centri abitati, si erano infatti trasferiti da Porto Empedocle, dove abitavano, nella casetta in contrada Caos, territorio di Agrigento, di proprietà dei Ricci-Gramitto.
“…Una notte di giugno – scrive Pirandello – caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’ un altipiano di argille azzurre sul mare africano”.
Nonostante questo trasferimento, e nonostante la madre appartenesse ad un’antica famiglia agrigentina, la cittadina marinara rimase sempre un riferimento forte nella vita dello scrittore. La sorella Annetta aveva sposato il facoltoso commerciante empedoclino Alfonso Agrò, e il fratello, professor Innocenzo, continuò ad abitare nella cittadina marinara. Non è un caso che Stefano Pirandello e la sua famiglia, dopo il disastro economico che lo coinvolse, trovasse aiuto e rifugio nel palazzo del genero Alfonso Agrò che ancor oggi fa bella mostra di sé nella strada principale di Porto Empedocle.
Su Pirandello e Porto Empedocle è stato scritto tanto, anche qualche invenzione letteraria, come quelle che Andrea Camilleri, che raccontando di una parentela ed una frequentazione inesistente, ci ha tramandato in alcuni suoi bozzetti.
Quanto racconto in questo appunto è un fatto reale e, in qualche modo, mi riguarda perché ne è stato protagonista mio suocero Alfonso Tripodi. Quell’Alfonso Agrò, di cui si è detto sopra, era infatti il fratello di Emilia Agrò, nonna di mio suocero.
Vado ai fatti che risalgono alla fine degli anni venti.
In un giorno di primavera inoltrata, uso un incipit poetico riecheggiando quello dello scrittore, Pirandello raggiunge in incognito Porto Empedocle e si reca a Palazzo Cappadona dove l’attende il commendatore Gerlando Cappadona, l’uomo più facoltoso della cittadina marinara e nonno di mio suocero. Il commendatore Cappadona che sapeva dell’arrivo lo accoglie sulla soglia della prima rampa di scale del palazzo con accanto il nipotino, appunto mio suocero, che gli stringe la mano. Un breve scambio di saluti, l’abbraccio fraterno fra due vecchi conoscenti, una carezza al bambino e un istante di perplessità che sembra fissare il fotogramma della scena.
Per capire quando accadeva, è necessario fare un passo indietro.
Come si è detto, a Porto Empedocle continuava ad abitare, il professor Innocenzo Pirandello, persona ammodo ma per nulla succube, come invece lo erano in molti, della personalità del fratello scrittore. Più volte i due avevano litigato anche per questioni di famiglia e, ora, erano due anni che avevano troncato ogni rapporto. Un tempo troppo lungo per non trovare una soluzione.
Il commendatore Cappadona, notoriamente uomo di pace, che conosceva quelle vicende anche perché Innocenzo, suo inquilino, qualche volta incidentalmente gliene aveva fatto cenno, rischiando di farsi dire “si faccia i fatti suoi”, s’impose il compito di intervenire … quella storia, a suo giudizio sconveniente, non poteva continuare. Ed allora, essendo a conoscenza della stima di cui lo scrittore lo onorava, decise di contattarlo per mettere, come si dice, la “buona”.
Quell’iniziativa, al di là delle aspettative, trovò un Pirandello particolarmente disponibile, fatto che lo confortò nel proseguire, nonostante la pregiudiziale di Innocenzo che pretendeva, come condizione imprescindibile, che fosse il fratello a portargli il ramoscello d’ulivo di pace.
“Come fu o come non fu”, non ho carte ne documentazione in merito a parte le poche cose che mio suocero ricorda, il grande drammaturgo si acconciò ad accettare la condizione impostagli, confermando che, alla prima occasione che fosse capitato in Sicilia, avrebbe fatto tappa a Porto Empedocle per incontrare il fratello.
Quel giorno arrivò e, torniamo al fotogramma, il nostro scrittore adombrato dal dubbio si trovò, dunque, sulle scale del palazzo empedoclino davanti al Cappadona. Sicuramente in mente sua l’orgoglio era tornato a far capolino.
“Per quale ragione, come si dice, avrebbe dovuto fare proprio lui il primo passo?”
Proprio in quell’attimo, il commendatore Cappadona che aveva colto “l’antifona”, allungò il braccio e senza dargli modo di parlare lo spinse su per le scale fino al portone dietro il quale, trepidante, lo aspettava Innocenzo.
Tutto si concluse in pochi attimi, la porta si spalancò e Innocenzo si trovò di fronte il fratello, sottobraccio al commendatore Cappadona che stringeva la mano al nipotino.
Una scenetta dolcissima.
I due fratelli, messo da parte ogni rancore, si abbracciarono amorevolmente e la storia, come nella migliore tradizione delle antiche favole, si concluse in bellezza.
…e fu così che, i riflessi dei reali intrecci parentali fra due famiglie di alto rango economico, sociale e culturale della terra agrigentina, per mano esperta e sapiente di scrittore, quale è quella di Pasquale Hamel, giunsero fino a noi… 🙂
Si vede che Salvatore Mancuso è mio amico
Si vede chescrivi bene l’abbiamo vissuta come se fossimo presenti tutti su quel pianerottolo con la manina attaccata a quel bambino …. Che poi era tuo supcero
Grazie Luigi