
di Serena Corsale
“America Latina” è il terzo film di Fabio e Damiano D’Innocenzo; segue “La terra dell’abbastanza” (Nastro d’argento al miglior regista esordiente, 2018) e “Favolacce” (tra gli altri premi, Nastro d’argento al miglior film, alla migliore sceneggiatura e alla migliore fotografia, 2020).
I due fratelli tornano finalmente in sala, nel proprio habitat naturale. La visione della loro ultima opera fa crescere il rammarico e la consapevolezza della grande perdita subita da tutti noi per non aver potuto fare altrettanto con “Favolacce”, la cui distribuzione nelle sale italiane fu bloccata nell’Aprile 2020; a causa della pandemia appena iniziata, infatti, la produzione decise allora di ripiegare sulle piattaforme.
America Latina
I gemelli D’Innocenzo sono gli oracoli di un mondo distopico, ci hanno storditi con “Favolacce” e tornano a stravolgerci con “America Latina”. Ancora una volta Elio Germano presta il proprio volto al protagonista, ed è di nuovo straordinario. Massimo Sisti è un bravo dentista, un marito fedele, un padre affettuoso, un buon amico.
La sua quotidianità sembra scorrere tranquilla, pare soddisfatto del suo lavoro e della sua famiglia e grato per ciò che la vita gli ha riservato. La cantina della sua bella casa di Latina gli rivela qualcosa che a poco a poco metterà in crisi tutto ciò in cui ha creduto. Tassello dopo tassello, il suo lavoro, il rapporto con sua moglie (Astrid Casali), con le sue figlie (Carlotta Gamba e Federica Pala) e con il suo amico Simone (Maurizio Lastrico) crolleranno insieme alla sua integrità psichica.
Non è soltanto un ritratto della fragilità di un uomo e della crisi del modello “universale neutro maschile” nel linguaggio cinematografico, ma la narrazione disturbante di un disagio psicologico reso con precisione chirurgica e scientifica, fino alla crisi totale che mette in luce quanto di brutale possa accadere nel profondo della mente di ognuno di noi e quanto fortemente si possa credere in qualcosa.
La dimensione spazio-temporale nei film dei fratelli D’Innocenzo
Si tratta di una componente che si evolve in modo significativo nel percorso narrativo seguito dai fratelli D’Innocenzo. La periferia romana contemporanea de “La terra dell’abbastanza”, girato nel quartiere Ponte di Nona, è fortemente connotata e ha un valore intrinseco; la storia non è esportabile in un altro contesto o in un altro territorio, e neanche in un altro tempo.
Con “Favolacce” si resta nella periferia romana, una Spinaceto imbellettata fuori e brutale dentro, ma la location utilizzata è in realtà in provincia di Viterbo. Infatti, chiamare “Spinaceto” il quartiere in cui vivono le famiglie protagoniste del film rappresenta soltanto un’indicazione specifica e riconoscibile, un pretesto per dare un nome ma non un volto a quel luogo. La borgata in cui è ambientato “Favolacce” è la periferia di ogni città italiana, quelle famiglie sono le nostre e vivono un tempo sospeso e indefinito.
I contorni netti dello spazio-tempo del primo film perdono la loro alta definizione, fino a dissolversi in “America Latina”. L’indicazione della città di provincia nel titolo è un depistaggio; la caratterizzazione sfuma del tutto, si perde per mettere al centro l’uomo, la narrazione pura senza luogo né tempo.
Lode al reparto fotografia
Le pellicole di Fabio e Damiano D’Innocenzo sono opere d’arte totali. Ciò che le rende uniche è il contrasto esplosivo tra una storia che turba e dis-turba la mente, lo stomaco e il cuore di chi guarda e un film esteticamente impeccabile, una festa per gli occhi.
Il direttore della fotografia delle loro opere è sempre Paolo Carnera. I tre fanno un lavoro straordinario, ogni fotogramma è uno spettacolo di luci, colori ed espressioni, con risultati unici nel panorama italiano. “America Latina”, in particolare, sembra far rivivere Botticelli e i pittori olandesi di genere, nelle loro ambientazioni domestiche.