di Gabriele Bonafede
Il governo Draghi inizia molto bene, e non solo per una fiducia votata in massa al Senato. Aveva cominciato bene prima ancora di formarsi, come sappiamo. Lo spread, infatti, è calato di molto nel momento in cui è stato chiamato dal presidente Mattarella.
Lo spread è poi sceso ancora durante le consultazioni che sono durate solo due settimane. In tutto, dall’inizio della crisi del governo Conte, lo spread è sceso di un buon 25%, passando da circa 120 punti a circa 90. Oggi è risalito, ma è comunque sotto i 100 punti.
Ieri è rimasto intorno ai 90 punti, che è un minimo dal marzo 2015. Qui il link sul grafico Il Sole 24 Ore, dove è possibile cliccare su periodi che comprendono mesi o anni di andamento.
Insomma, Draghi ha già fatto risparmiare agli italiani una ragguardevole cifra in termini di interessi pagati dallo Stato italiano sui BTP e sul debito pubblico in generale. Ciò permette una manovra ancora più ampia, a prescindere dal Recovery Fund.
Ci si aspetta che nei prossimi mesi lo spread scenda ulteriormente. Tutto dipenderà da come si comporterà il governo Draghi e il sistema-Italia. Non pochi media, infatti, hanno cercato di impallinare questo governo durante, prima e dopo le consultazioni, con commenti e provocazioni poco opportune nei confronti delle diverse anime politiche poco conciliabili tra loro. Da parte di Draghi ci vorrà un grande lavoro di continua composizione e ricomposizione politica. Da parte dei media è auspicabile che ci siano critiche reali e non per fare audience o i piacioni agli estremismi.
Spread con Draghi benissimo. Ma con Renzi è andato anche meglio
In ogni caso è una buona partenza da un punto di vista non opinabile: la matematica. Draghi infatti fa benissimo sullo spread fin dall’inizio, arrivando fin quasi il livello più basso dello spread BTP/Bund cioè quello che fu raggiunto quando il presidente del consiglio era Matteo Renzi.
Con il leader di Italia Viva, al quale vanno i principali meriti anche per la formazione del governo Draghi, lo spread era sceso da 225 a 148 punti entro pochi mesi, dopo essere nominato Presidente del Consiglio mentre era ancora nel PD. Lo spread si mantenne sempre molto basso per tutto il periodo del governo Renzi (febbraio 2014-dicembre 2016).
Ebbe quel minimo a meno di 90 intorno al 10 marzo 2016 e poi un altro minimo alla fine del 2016. Poi lo spread risalì di botto quando Renzi fu costretto a lasciare il governo. In buona sostanza, con il governo di Renzi lo spread si è mantenuto quasi sempre tra 150 e 120 punti, con alcuni minimi intorno ai 90 e alcune punte quasi sempre al di sotto dei 150 punti. Ciò ha giovato molto alle finanze pubbliche e all’Italia.
Anche con il governo Gentiloni, sempre del PD e con Renzi ancora nello stesso partito, lo spread si è mantenuto relativamente basso: quasi sempre tra i 120 e i 150 punti, con alcune settimane vicino ai 200. Giovando non poco alle finanze pubbliche.
Viceversa, le sciagurate elezioni del 2018 e i governi Conte hanno portato a uno spread che è passato di botto a 300 punti, per poi rimanere sempre tra i 200 e 300 punti, con momentanei rialzi anche peggiori e una maggiore (e nociva) volatilità.
Sempre con Conte al governo, ma con la maggioranza cambiata di segno grazie all’intervento di Renzi nel 2019, lo spread è tornato intorno ai 150 punti, per poi risalire una volta arrivata la pandemia e poi progressivamente scendere via via che l‘Unione Europea ha lanciato proposte e programmi di sostegno.
Adesso, lo spread con Draghi al governo è tornato ai livelli minimi, sotto i 100 punti. Speriamo che ci rimanga e che anzi migliori ulteriormente la posizione italiana sui mercati finanziari e dunque le possibilità di rilancio dell’economia. A prescindere dal Recovery Fund.