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di Gabriele Bonafede
L’inaugurazione della presidenza Biden-Harris negli Usa non sarà eccezionale solo per il clima di blindatura a causa della sedizione terroristica incitata da Trump. E non lo sarà solo perché avviene in una pandemia nelle quali le responsabilità nel di Trump nel peggiorarla, in tutto il mondo, sono evidenti.
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Sarà una svolta storica per tanti altri motivi. Ma che possono ricondursi a ciò che avviene nella storia: la storia zappa a millimetri, ma zappa. Una svolta lenta ma che culmina con questo episodio simbolico risultato da cambiamenti sociali, demografici, economici e culturali di portata, appunto, storica.
Il crollo di Trump e della sua strategia dell’odio etnico ultranazionalista votata alla sconfitta, sembra sia avvenuto in pochi giorni. Non è così. Molti, in un’Italia provinciale e in balia del populismo trumpista, non lo hanno ancora capito. Ma che lo capiscano o meno, i cambiamenti che hanno portato alla sconfitta del trumpismo e del sovranismo sono paragonabili a quelli che portarono alla rivoluzione americana e poi a quella francese nel passare dall’ancien regime all’era contemporanea. Probabilmente, gli storici del futuro individueranno il 2020 o il 2021 quale anno simbolico quanto lo è il 1789.
E questo nella stessa natura di quel cambiamento storico: un nuovo periodo dove la questione dei diritti umani, della uguaglianza e della libertà in contrapposizione alle dittature, forgia il pensiero stesso dell’umanità. Magari a pezzi, ad aree geografiche, a processi sovrapposti tra loro, ma lo forgia e lo forgerà comunque.
Trump e i sovranisti hanno tentato di portare le lancette dell’orologio all’indietro
I trumpisti, i sovranisti, i populisti, i putinisti, hanno cercato di fermare il tempo e far girare l’orologio indietro per riportarlo agli inizi del XX secolo. Hanno cercato di porre le questioni in termini di stato mono-etnico, “sovranista”, guidato dalla potenza militare e la cosiddetta “geopolitica”, anziché quella basata su idee di libertà, cooperazione e condivisione.
Sono tornate di moda, nell’ultimo decennio, mostruosità hitleriane e staliniste come “sfere d’influenza”, “interessi nazionali”, “autarchia” … persino mercantilismo e, di fatto, razzismo. Dimenticando che, ammesso e non concesso che esista una razza o una etnia, essa è la razza e la etnia umana. Dimenticando che la tanto vituperata “globalizzazione” è sempre esistita, fin dal Paleolitico. Per lo meno è esistita fin dalle interazioni commerciali e demografiche tra Homo sapiens e uomo di Neanderthal.
Negli Stati Uniti, un paese al 100% costituito da immigrati, compresi i nativi “indiani” che immigrarono nel Nordamerica millenni fa, si è concretizzata la forza di un Paese che è essenzialmente multietnico e legato assieme dalla intrinseca multiculturalità, multi-religiosità e immigrazione continua. Questi elementi sono l’essenza stessa degli Stati Uniti, pur nelle sue contraddizioni, chiaramente evidenziati nell’architettura della Costituzione americana.
Trump e i suoi seguaci hanno cercato di negare l’essenza stessa degli Usa e pensato che affidandosi al “suprematismo bianco” avrebbero vinto qualsiasi elezione, pure quelle perse nei numeri. Eventualmente con l’uso della violenza, la stessa violenza delle squadracce fasciste e delle camicie brune con la croce uncinata che abbiamo visto.
Non è così. In Georgia, in Arizona, nel Nuovo Messico, e in tutti gli Usa, le elezioni del 2020-2021 hanno dimostrato che il tempo procede in avanti: la storia zappa a millimetri, ma zappa. Anche e soprattutto in momenti di crisi e di cambiamento repentino. Hanno dimostrato che demografia “multietnica” e idee di libertà, parità di diritti e rappresentazione democratica e liberale, vanno di pari passo, soprattutto negli Stati Uniti.
Inaugurazione Biden-Harris: una svolta storicamente inarrestabile
La presidenza Biden-Harris è il risultato di un processo praticamente inarrestabile: quello della storia dell’umanità. Per capire questo, è utile ascoltare nuovamente il più famoso discorso di Martin Luther King, “I have a dream”.
Un discorso potente, valido nel 1963 e ancora più oggi, dove un genio visionario e concreto al tempo stesso come King, ha tracciato la strada che avrebbero preso gli Stati Uniti e il mondo, che lo si voglia o no. Una strada che è quella dove non c’è posto per chi vuole seminare odio e divisioni, ma che al contrario raggiunge, anche a piccoli passi, un’universalità multiculturale assolutamente inevitabile e allo stesso tempo foriera di immensi benefici individuali e collettivi.
L’inaugurazione della Presidenza Biden-Harris, più ancora di quella di Obama, traduce in realtà un sogno, per quanto imperfetto, comunque di avanzamento sociale e civile epocale. Perché è anche un momento storico che vede la cocente sconfitta del disegno opposto, quello di Trump e i suoi associati.
In Italia, forse, si riuscirà a meditare su questo. Possibilmente abbandonando, al più presto, le sconcezze populiste e sovraniste che abbiamo visto negli ultimi dieci anni. Riportando, così, le lancette dell’orologio nel senso della storia.