di Gabriele Bonafede
A scuola lo sapevano pure i più asini. Quelli che non prendevano la sufficienza nemmeno se gli facevi copiare tutto il tema. La Sicilia ha avuto diverse dominazioni nel corso dei secoli: i greci, i romani, i vandali (che per la verità ci sono ancora), gli ostrogoti, i bizantini, gli arabi, i normanni, i tedeschi, i francesi, gli aragonesi, gli spagnoli, i Savoia, gli austriaci, i Borboni, di nuovo i Savoia, gli italiani, o “i taliani” come si dice in siciliano…
Oggi i siciliani si sentono molto italiani. Tanto che negli stadi dell’Isola si canta l’inno di Mameli forse più che altrove ogni volta che la Nazionale di calcio viene a giocare da noi.
Ma adesso sembra sia arrivato il tempo della dominazione cinese.
L’imperatore Xi Jinping, pronunzia siciliana Ci-cin-ping-(e-pong), è sbarcato a Punta Raisi e si è fatto un giro per le bellezze ereditate dal periodo d’oro di Ruggero II e dei normanni, antico esempio di tolleranza tra civiltà e religioni in un’isola che rischia ogni giorno di perdere i propri, parziali, diritti civili conquistati a suon di “calati giunco che passa la piena”.
I governanti di quasi tutti i colori politici si sono affrettati a rendere omaggio al nuovo imperatore, senza badare a spese e senza badare al passato. Qualche mese fa si accoglieva il Dalai Lama, simbolo della lotta per i diritti umani in Cina. Oggi no. Oggi si ossequia il suo più acerrimo nemico.
Persino il Presidente della Regione, che proviene dalla destra storica anticomunista, è andato a ricevere in pompa magna il capo del partito comunista più grande, ricco e potente della terra.
Fa specie vedere quelle facce sorridenti di uno e più siciliano al potere andare a rendere omaggio all’imperatore comunista. Tutti folgorati sulla Via della Seta che sembra a tutti gli effetti la via contraria alla Via di Damasco…
Il popolo, quello che scrive liberamente sui social, è anch’esso folgorato. Non si parla d’altro. Via i selfie e le tazzine di caffè, appare la risorsa più diffusa, se non altro a Palermo: l’ironia.
Arriva così l’AranCina, finalmente femminile e palermitana. Arrivano le battute farcite di l al posto delle r, con pornografici effetti ad ogni grande aggettivo. Fanno capolino i segnali autostradali che portano a Cinisi, che con un minimo cambio d’accento tonico diventa Cinìsi, cioè “cinesi”.
“I cinesi non ci vedono. Perché? Perché sono lontani”, diceva la barzelletta di decenni fa… Ma oggi sono vicini, vicinissimi. Propongono sfracelli e colonizzazioni economiche in grande stile come un mega-porto da 5 miliardi di euro e 450mila posti di lavoro. Non so se ci si rende conto delle dimensioni. E delle implicazioni. Soprattutto se si tratterà di operazioni realizzate a debito, magari cedendo obbligazioni regionali alla finanza di Stato cinese…
A dire il vero, la moda cinese non è una novità da queste parti. Nei secoli passatti ci sono state mode non solo architettoniche legate all’influenza di una grande, immensa, storia culturale come è quella cinese. La Turandot ne è uno degli esempi più diffusi.
Lo stesso nome della cittadina di Cinisi vicino Palermo deriverebbe dall’immenso palazzo in stile “chinoiserie”, oggi sede dell’omonimo Comune, costruito molti decenni fa. E chi è il palermitano o l’attento turista che non conosce la stupenda “Palazzina cinese” nel Parco borbonico della Favorita? (foto in copertina, di Igor Petyx)
Sarà una dominazione stupenda. Magari con un’architettura meno consona alle nostre parti e un pizzico meno attenta all’ambiente e ai diritti. Ma chi se ne frega? I soldi sono soldi. E, tranne la protesta di Amnesty International e le parole di Mattarella, la questione dei diritti umani va a alla Favorita, sede storica di frugali compagnie a pagamento.