
di Maria Teresa de Sanctis
“Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi” scriveva Antoine de Saint-Exupery nell’opera, “Il piccolo principe”, da chi scrive tanto amata.

E questa essenzialità è ciò a cui mira il regista Alfonso Cuaròn, nel suo ultimo lungometraggio “Roma”. Un film che parla al cuore, che mostra l’essenziale, senza orpelli, anche senza musiche se non gli elementi sonori richiesti dalla narrazione: la banda per strada, la musica di una festa… Cercando di mantenere lo spettatore sempre più dentro la veridicità del racconto di un’umanità dolente.
Un racconto per immagini perfetto, misurato nei dialoghi anche questi essenziali, dalle inquadrature “parlanti”, da composizioni nelle quali ogni cosa ha tanto da raccontare, riuscendoci egregiamente. E questo sin dalla prima scena sotto i titoli di testa, scena nella quale l’unico suono è dato dallo scorrere dell’acqua usata per la pulizia del pavimento di un cortile.
Una pulizia che sembra non avere mai fine, e d’altronde sarebbe difficile potere ritenere pulito un cortile dove si posteggia l’auto, il cane fa i propri bisogni eppure al tempo stesso lì i ragazzi giocano. Ma nessuno sembra preoccuparsene se non la nostra eroina, la giovane Cleo, intensa e dolce protagonista del film, interpretata da Yalitza Aparicio. Siamo in una casa borghese del quartiere Roma (da qui il titolo del film) di Città del Messico, negli anni settanta, dove vive la famiglia per la quale l’india Cleo fa la serva.
Il doloroso percorso di crescita nella vita di questa umile figura, se da un lato può essere inteso come un racconto provocatoriamente politico del Messico di quegli anni, dall’altro è principalmente il richiamo ad un’umanità da recuperare, un invito a riconoscere e apprezzare gli sforzi e le sofferenze di quegli ultimi che tanto hanno fatto e continuano a fare nel mondo. Infatti l’attenzione del regista è tutta rivolta alla sua eroina, la giovane Cleo che vive la sua vita attraverso la vita della famiglia per la quale lavora.
Famiglia dalla quale è amata e che a sua volta ama sinceramente. Il fascino del bianco e nero, la perfezione delle inquadrature, la pulizia delle scene, la bellezza delle immagini, la forza della storia che trasuda verità ad ogni pié sospinto, e sopra ogni cosa una regia perfetta, tutto questo è “Roma”.

E d’altronde il regista Alfonso Cuaròn, premiato con questo suo ultimo film col leone d’oro al festival di Venezia 2018, già nel 2014 aveva ricevuto il prestigioso premio Oscar per la migliore regia col suo “Gravity”.
Per inciso, una storia ambientata nello spazio con scene necessariamente essenziali (spazio e navicella e poi ancora spazio) e anche lì una donna (interpretata da Sandra Bullock) come protagonista.
E ritornando all’immagine iniziale di “Roma”, come quel cortile è difficile da pulire così lo è l’anima di questa nostra umanità sempre più confusa e impaurita in un mondo destinato al collasso. Eppure stando uniti, vicini gli uni con gli altri, come a formare la magica catena di secchi d’acqua per spegnere gli incendi, qualche speranza ci sarebbe. E sempre d’acqua ci sarebbe bisogno, l’acqua dell’amore.