Lo spettacolo dell’artista palermitano sugli antichi mestieri ha anticipato il primo maggio d’Italia: ricordandoci che siamo in una Repubblica basata su de-meritocrazia ed emigrazione
di Gabriele Bonafede
Piazza Magione a Palermo, la sera del 29 aprile 2018, accoglie un buon numero di persone per concerti e spettacoli. Potrebbero essere molte di più, ma un’ordinanza dal sapore medievale crea il caos su come arrivare in piazza per chi non è a distanza pedonabile.
Già. Perché Palermo, che lo si sappia o meno, è in qualche modo medievale. E non è una constatazione pessimista, anzi.
Palermo, negli ultimi 30 anni ha avuto uno sviluppo culturale semplicemente spettacolare, riuscendo a fare un salto epocale: dall’età della pietra dove era sprofondata con i Liggio, i Ciancimino e i Riina, si è passati al medioevo. Il che, è un risultato encomiabile, frutto di varie sindacature certamente migliori delle precedenti, e quasi tutte guidate da Leoluca Orlando.
Questo salto in avanti epocale, che ha permesso di superare decine, centinaia di millenni in soli trent’anni, a ben vedere è anche frutto di tante altre cose. Ad esempio, è l’effetto indiretto dell’essere agganciati, sia pure come ultima ruota del carro, alla tanto vituperata Europa.
È l’effetto di una crescita sociale e culturale dove, se l’amministrazione ci ha messo un pizzico del suo, il ruolo dei cittadini palermitani è stato determinante: magari dovendo persino emigrare prima di, eventualmente, tornare.
Il medioevo ha i suoi cantastorie, i suoi giullari, i suoi menestrelli. Artisti che possono dire la verità, perché persino nel medioevo è concesso di dire la verità a chi è cantastorie. Un cantastorie di Palermo, forse il cantastorie palermitano per antonomasia nella medievale Palermo di oggi è Salvo Piparo. Un paio di giorni fa è andato in scena alla Magione, con Lo Scordabolario – Capitolo Antichi Mestieri.
Gioca in casa, certo. Esaltando detti, movimenti, antiche conoscenze, proverbi e litigi con un repertorio in vernacolare corroborato dalla sua gestualità ispirata al cunto e alla strada, così come a poeti e scrittori dei secoli attuali. Esaltato dalle poliedriche capacità del musicista Michele Piccione: antichi strumenti musicali, antichi mestieri, antico sapere.
E così, ancora una volta, Salvo Piparo ispira, raccoglie applausi, diverte, fa riflettere. Con il racconto dei mestieri di Palermo, medievali come il medioevo odierno e venturo, eppure già dimenticati e obliterati dal medioevo tecnologico del piccolo e piccolissimo schermo.
Salvo trascina a tamburo e abbanniata nel ricordare mestieri spariti o in via di sparizione, tutt’ora legati ai toponimi di Palermo: i maccheronai, la pannarìa, la zona di Falsomiele (la canna da zucchero), quella dell’Ucciardone (dai cardi), la Vucciria dei macellai (dal francese boucherie), ma che sono anche chianchieri, il traghettatore del Cassaro, per superare le acque e la munnizza straripante sul fiume Kemonia, quando piove…
Ma, soprattutto, i pupari. Il puparo, ovviamente, nel senso di burattinaio, a Palermo è mestiere di potere. Un potere medievale e autolesionista, che fa partire chi vuol fare, e fa rimanere chi non vuole progredire.
Salvo, la sera del 29 aprile, in quella vigilia del primo maggio che cade oggi, ha concluso con un lungo monologo dell’emigrazione e dell’emarginazione: destino fatale di una Palermo, o meglio, di un’Italia che, oggi più che mai, è feudo.
Chi sa e chi fa è destinato ad andare via, anche perché, chi saprebbe e farebbe rimanendo a Palermo (e in Italia), fa di tutto perché il sapere e il fare non passi da una generazione all’altra, per paura di perdere il potere. O il proprio posto di puparo.
Gli antichi mestieri cantati da Salvo Piparo in quel della Magione a Palermo, hanno anticipato così il primo maggio d’Italia, ricordandoci che siamo in una Repubblica basata sulla de-meritocrazia.
In copertina e nel testo, foto di Giusina Perna.
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